Le piattaforme social, in genere accostate all’immagine dell’agorà ateniese, sono nell’opinione di chi scrive, più simili ai feudi medievali, anche se con qualche distinguo, e i loro utenti più vicini ai mezzadri, che ai cittadini di una polis. In primo luogo l’agorà è la piazza, un luogo pubblico, in cui vengono prese decisioni per la collettività e la pubblica autorità esercita la sua giurisdizione. I feudi invece appartengono al sovrano, che concede al feudatario, al signorotto, di amministrarli, a patto che quest’ultimo gli versi gli utili derivanti dalle attività del feudo e gli giuri fedeltà. Il feudatario a sua volta da in concessione parti del territorio datogli dal sovrano ai mezzadri, perché lo coltivino e gli rendano la metà degli utili derivanti dall’attività agricola (a grandi linee).

I social network sono feudi, in cui però le figure del sovrano e del feudatario si sovrappongono. Gli utili degli appezzamenti digitali, i profili personali di Meta, Tik Tok, X e simili, sono costituiti dai preziosi dati personali, dalle fotografie o dai video (da cui si possono estrarre dati biometrici come conformazione del volto o tono della voce, ad esempio per addestrare modelli di Intelligenza artificiale), dalle interazioni con gli altri utenti o post, dai mi piace. Cosa succede però se il mezzadro viola le regole, poste in maniera più o meno chiara, dal feudatario? Viene bandito, in gergo, bannato (da ban: vietare, mettere al bando), per qualche mese o per sempre.

È ciò che è successo alla giornalista dell’Observer, Carole Cadwalladr, che all’indomani del voto sulla Brexit ha iniziato ad indagare sulle cause che avevano portato il 51,89% dei votanti ad esprimersi per il leave. Cadwallar scoprì una rete di finanziamenti elettorali illeciti sfruttati dai promotori del leave, per veicolare una pressante propaganda tramite i social, Facebook in questo caso. Gli utenti venivano profilati politicamente, si stima siano stati più o meno 87 milioni i profili coinvolti, e se ritenuti adatti venivano bersagliati dalla propaganda per il leave, con post come: “72 milioni di turchi stanno per entrare in Europa”. Lo stesso è successo nel 2019 in occasione della prima elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti. Dietro questi due eventi c’è un unico attore reso celebre dalla vicenda: Cambridge Analytica, società di consulenza britannica, chiusa per bancarotta nel 2018, il cui vicepresidente era Steve Bannon, l’ideologo Maga.

Cadwalladr è stata bandita a vita da Facebook per aver indagato e pubblicato la storia. La stessa sorte è toccata nel 2021 a Donald Trump. In questo caso però il blocco è scattato a seguito dei post pubblicati da Trump, che hanno innescato l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Il blocco è stato ritirato a inizio 2023 ma Trump si era già creato il suo social personale, modestamente chiamato Truth. Un’alternativa al blocco del profilo è lo shadow ban, ossia quando Meta rende invisibili agli altri utenti i post del profilo colpito, senza che quest’ultimo possa rendersene conto.

Di recente Meta ha bloccato i profili di Mariano Giustino, come era già accaduto nel 2020, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia, sbloccato dopo qualche giorno, solo grazie alla grande pressione esercitata sulla piattaforma, e quello di Damiano Aliprandi, collega del Dubbio, ancora in stato di blocco. Non è chiara la motivazione in quanto Meta in questi casi si limita a comunicare che i testi non sono conformi alle regole dell’azienda. Saranno stati forse gli articoli di Aliprandi sulle condizioni delle carceri italiane, o forse i suoi articoli e l’intervento nella trasmissione Far West di Rai3 sul dossier mafia-appalti. Entrambi giornalisti condividono il loro lavoro sui social, non incitano all’odio, non usano linguaggi ingiuriosi, fanno informazione.

Un’informazione che dovrebbe essere libera, non soggetta alla censura arbitraria di un privato. In quest’ottica l’unico aspetto che potrebbe accomunare i social e l’agora è l’ostracizzazione, i pezzi di coccio ( ostrakon) hanno ceduto il passo alle segnalazioni, in molti casi veicolate tramite numerosi bot, comandabili a piacere come una muta di cani affamati.

Nell’era in cui l’informazione è veicolata, e soprattutto fruita, quasi esclusivamente via social, viene da chiedersi quanto questa possa essere libera e non asservita a chi la indirizza in base ai propri interessi economici e politici. Basti vedere le recenti elezioni in Romania per avere una risposta, migliaia di account propagandistici sono stati liberi di influenzare il voto per svariate settimane, senza che Tik Tok intervenisse a riguardo. I social, nati come spazio di libera espressione, in cui poter anche manifestare dissenso altrimenti silenziato, come successo durante le primavere arabe, si sono ormai trasformati in regimi distopici, che silenziano la voce di coloro che lavorano per un’informazione libera e premiano la propaganda.

Sarebbe ora che l’Europa e le autorità nazionali intervenissero «a tutela della libertà d’espressione e al libero esercizio dell’attività dei giornalisti », come scritto da Mariano Giustino nel primo post su facebook dopo il blocco.