Chi ha paura di Damiano Aliprandi? Chi ha deciso di oscurarlo da Facebook? Chi ha premuto il pulsante che ha fatto sparire un giornalista vero, una voce scomoda, da una piattaforma che si spaccia per libera ma che risponde a logiche opache, algoritmi anonimi e centri di potere senza volto?
Questa non è una semplice sospensione dell’account: è un atto di censura arbitraria. È il segno evidente che ci troviamo di fronte a colossi digitali – aziende private, fuori da ogni controllo democratico – che decidono chi può parlare e chi no. Nessuna legge, nessuna trasparenza, nessun contraddittorio. Un sistema che fa impallidire il vecchio conflitto di interessi di berlusconiana memoria: qui non parliamo più di media tradizionali, ma di piattaforme che governano l'informazione globale, che influenzano l'opinione pubblica e gestiscono flussi economici enormi senza dover rendere conto a nessuno.
Certo, qualcuno avrà segnalato Damiano. Ma segnalare per cosa? Di certo Damiano ha parlato di “mafia e appalti”, della verità contenuta in quel dossier che probabilmente ha determinato la morte di Paolo Borsellino e che molti vorrebbero rimuovere per sempre.
Noi vogliamo sapere chi ha deciso di imbavagliare Damiano Aliprandi, con quali motivazioni, con quali pressioni. Pretendiamo trasparenza. Pretendiamo che la libertà d’informazione valga anche – e soprattutto – per chi non è allineato, per chi disturba i manovratori, per chi ha il coraggio di scrivere dove molti tacciono. Perché oggi è toccato a lui. E domani?