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Il 20 maggio, alla vigilia del consiglio di difesa consacrato ad un allarmante rapporto sui Fratelli musulmani e l'islamismo politico in Francia, l’ex primo ministro Gabriel Attal, membro della maggioranza di governo, ha proposto una legge che stabilisca il divieto totale di indossare il velo islamico, dallo chador al burqa per le minori di 15 anni, accompagnato dall'introduzione di un reato per i genitori che ne impongano l’uso.
Una proposta destinata a dividere, e che ha suscitato critiche trasversali, da sinistra a destra, accendendo una polemica all’interno del lo stesso campo macronista. Il problema, come fa notare un’altra ex premier, Elisabeth Borne, è che il provvedimento sarebbe incostituzionale e allo stesso tempo inapplicabile dal punto di vista pratico: «Davvero si vuole multare centinaia di migliaia di bambine in mezzo alla strada?»
Il centrista Marc Fesneau ha denunciato una «escalation sui temi identitari», che svuota di senso l’originario progetto del presidente, fondato su moderazione e inclusione. La proposta non ha trovato consensi nemmeno nella destra post gollista destra. Gérard Larcher (LR) ha criticato «l’ennesima misura inapplicabile», mentre Henri Guaino l’ha addirittura definita «folle». Solo l’estrema destra, per voce di Marine Le Pen, ha approvato la proposta di Attal, sottolineando che riprende una sua vecchia battaglia contro l’integralismo religioso.
L’idea, difesa dall’ex deputata Nadia Hai, nasce dai lavori della “convenzione” sui temi della sicurezza lanciata da Renaissance (il partito di Macron): l’obiettivo consisterebbe nel proteggere i minori dall’imposizione delle pretiche religiose da parte delle famiglie. Attal respinge le accuse di islamofobia e di opportunismo (cercherebbe consenso a destra), ricordando le stesse critiche ricevute nel 2004 contro il divieto del velo nelle scuole, nel 2009 contro il burqa e nel 2023 contro l’abaya. Candidato virtuale alle presidenziali del 2027 quando Macron non potrà più presentarsi, Attal ha già inziato la campagna elettorale.