I cantori di Vladimir Putin si sono soffermati sul dato numerico delle elezioni presidenziali: affluenza del 73% e consensi in favore del capo del Cremlino superiori all’87%. Il presidente russo continua, dunque, a sedurre gli elettori?

Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali dell’Università Cattolica, mette in guardia. Prima di tutto, tante notizie sullo svolgimento delle elezioni presidenziali non sono arrivate nel resto del mondo: «Putin – evidenzia il professor Parsi - con il suo atteggiamento da “coatto violento di periferia”, come lo definisce l’intellettuale russo Viktor Erofeev, intercetta una parte di un mondo che è completamente narcotizzato da quasi venticinque anni di potere incontrastato. È molto complicato mettersi a interpretare questo voto. Non manca chi, come ha fatto Salvini, continua a far finta di non capire che c'è una differenza tra le democrazie e le non democrazie. Non basta indire le elezioni. Salvini ha detto che il popolo ha votato e che il popolo ha sempre ragione. Ecco, questo è il tipico argomento della propaganda russa che qualcuno puntualmente tira fuori, facendo finta di non capire che c'è differenza tra votare in un sistema in cui è presente la libertà di scelta e votare in un sistema in cui questa libertà non c'è».

I dissidenti russi che vivono all'estero sono molto delusi e pessimisti. Molti di loro sostengono che i russi si meritano Putin. «Questo – commenta Parsi - è un punto centrale. È evidente che la capacità dei russi di sottrarsi all’abbraccio mortale del potere putiniano riguarda minoranze sparute di eroi che poi muoiono o vengono esiliati. Non c'è una rivolta popolare. L'unico breve periodo in cui la Russia ha sperimentato la possibilità di contendere il potere a chi lo aveva è stato durante la presidenza di Boris Eltsin, che ha coinciso con una delle fasi più drammatiche dell'economia russa e della società russa. Possiamo anche criticare i russi come popolo quanto vogliamo, ma che esperienza hanno avuto della democrazia anche solo di un sistema liberale? Praticamente nessuna».

Domenica sera, a risultato acquisito, Putin si è presentato in pubblico in compagnia di decine di giovani. Ha voluto lanciare un messaggio con una scenografia “pulita” e rassicurante. «In un Paese in cui nessuno ha un futuro – aggiunge Parsi -, perché lo stesso Putin non ha nessuna idea, neanche vaga, di quale futuro ha in mente, ma solo chiacchiere propagandistiche, gli interessa mantenere salda la presa sul potere, tenere in mano i soldi. In un Paese che sta affrontando un calo demografico spaventoso ha voluto far vedere che i giovani sono con lui. Ma questo non gli basta. Fin dall'inizio della sua presidenza, Putin ha investito in una serie di fondazioni, che in pratica hanno rimpiazzato i vecchi pionieri dell'Unione Sovietica, che si occupavano dell'indottrinamento dei giovani attraverso campi estivi e attività para-culturali. Succedeva anche con i balilla e con la Hitler-Jugend. I regimi utilizzano la retorica dell'attenzione verso la gioventù che esprime il futuro».

La Russia è una democratura in cui c'è più bisogno di protettori che di governanti? «Il tema della democratura – conclude Parsi - dobbiamo metterlo da parte. Anche i sistemi totalitari non possono fare altro che ricorrere al plebiscito, come farsa rispetto alle elezioni, perché comunque il fondamento è il potere basato sul popolo. Le democrazie hanno imposto comunque uno standard. Nessuno può essere più sovrano per diritto divino. Neanche nelle teocrazie, come quella iraniana, si può fare a meno delle votazioni. Però, ogni volta che usiamo il termine democratura rischiamo di generare confusione. E in questo momento la confusione è pericolosissima, fa il gioco di tutti quelli che anche nelle nostre società dicono “Ma sì, in fondo Putin ha il consenso della popolazione”. In fondo, come ha detto quel gentiluomo di Salvini, il popolo ha votato e quindi alla fine si è espresso. La democrazia esiste se c'è una possibilità di scegliere, che è esattamente quello che in Russia non c'è mai stato. Assistiamo a una società russa completamente militarizzata, avvelenata poco a poco, quindi ormai insensibile al veleno del totalitarismo».

Giorgio Cella, autore del libro “Storia e geopolitica della crisi ucraina” (Carocci) e analista di politica internazionale per Med-Or, si sofferma sul futuro della guerra: «Sul versante dell’Ucraina non cambierà molto. Putin, forse, sarà più galvanizzato e la determinazione nei suoi progetti rimarrà quella di prima. Il presidente russo punta molto alla retorica dell'unità del popolo, dell'unità dello Stato, della grande famiglia della Federazione Russa. Una situazione che, ora che si è messo alle spalle le elezioni, lo indurrà ad andare avanti con gli obiettivi che si è dato. Sul versante interno le elezioni, sebbene con risultati bulgari, plebiscitari, e sebbene il suo potere duri ormai da 24 anni, hanno comunque segnato una certa continuità nel sostegno al leader forte, ancora apprezzato da varie fasce della popolazione, come da quella più rurale oltre che da quella più nazionalista. Va anche ricordato che la Russia mostra diversi volti. Sullo sfondo però di questo nuovo plebiscito, che serve a Putin per sentirsi più forte, rimane la questione cruciale del cambio generazionale. Per vedere gli eventuali frutti di questo cambio, anche sulla scia dell'eredità di Navalny, temo però bisognerà attendere ancora a lungo».

Secondo l’avvocata Natalia Morozova del team legale di Memorial, organizzazione premio Nobel per la Pace nel 2022, quelle di pochi giorni fa non possono essere definite delle elezioni vere e proprie. «Prima di tutto – dice al Dubbio Morozova – perché non possiamo sapere quante persone abbiano effettivamente votato per Putin, cosa avrebbero fatto se avessero avuto un’alternativa, per chi avrebbero votato se ci fosse stato un vero dibattito, e così via. Non possiamo quindi affermare che la gente sia attratta da Putin. Putin vota per se stesso e ordina a tutti i russi di fare lo stesso. Simulare le elezioni in una dittatura e ancor di più in una cleptocrazia, come quella russa, è un modo per mostrare ai propri complici qualcosa del tipo: "Posso fare qualsiasi cosa e guai a chiunque cerchi di opporsi a me"».