Bavaglio e precarietà. Sono queste le parole chiave della manifestazione organizzata dalla Federazione nazionale della stampa a Montecitorio, dove ieri un nutrito gruppo di giornalisti ha manifestato, con in testa il presidente dell’ordine Carlo Verna e il segretario della Fnsi Raffaele Lorusso, contro «un attacco concentrico all’informazione», rappresentato soprattutto dal nuovo decreto intercettazioni. Un decreto, è stato detto ieri in piazza, che non solo limiterebbe la libertà d’informazione, rendendo «inaccessibili numerose informazioni di interesse generale e di chiara rilevanza sociale», ma che espone anche i giornalisti al rischio del carcere in caso di pubblicazione di materiale coperto da segreto. Un rischio che ordine e sindacato non sono disposti ad accettare, lamentando il passo indietro di un governo che, a inizio legislatura, si era impegnato a cancellare il carcere per i giornalisti ma che, di fatto, si chiude «con il rafforzamento delle norme che prevedono la condanna dei giornalisti alla reclusione».

I tempi per approvare almeno uno dei provvedimenti che tendono a rafforzare la libertà di stampa, dice Verna, sono ormai stretti. I rappresentanti dei giornalisti hanno quindi garantito di voler dare battaglia fino a fine legislatura, contro quello che rappresenterebbe l’ennesimo bavaglio. Verna e Lorusso, ieri, hanno incontrato i presidenti di Senato e Camera per spiegare il senso della manifestazione, rappresentata dallo slogan “Libertà precaria, lavoro precario, vite precarie”. «Il decreto contiene dettagli molto pericolosi soprattutto sul tema della rilevanza sociale della notizia – ha poi spiegato Verna in Commissione giustizia alla Camera parlando di intercettazioni –. Siamo portatori del diritto dei cittadini a essere informati correttamente. La normativa dovrebbe riguardare il rafforzamento della libertà di stampa». Altro tema sul quale la politica si è dimostrata assente, secondo i vertici di ordine e Fnsi, è quello delle querele temerarie. Argomenti per i quali è necessario, ha evidenziato Lorusso, «un delicato bilanciamento dei diritti in campo». E proprio in questo senso va il parere presentato dall’ordine in Commissione, a firma della professoressa Marina Castellaneta, secondo il quale il decreto sulle intercettazioni «sembra andare al di là di quanto inizialmente previsto dalla delega». Una norma che comprime il diritto del cittadino ad essere informato correttamente, denuncia Verna, che ha trovato sponda nelle dichiarazioni di Felice Casson, senatore di Articolo1– Mdp e vicepresidente della Commissione giustizia. «Il testo non tiene conto infatti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che riconoscono il diritto/ dovere dei giornalisti a pubblicare notizie di interesse generale e di rilevanza sociale e il diritto dei cittadini ad essere informati. Il decreto poi non recepisce in alcun modo e anzi contraddice un punto specifico in tal senso della legge delega», ha evidenziato.

«La stampa italiana è sotto attacco perché non solo si moltiplicano gli episodi di minacce ai cronisti – ha aggiunto Lorusso – ma anche perché sono stati messe in campo proposte di legge che tendono a limitare il diritto a pubblicare notizie che hanno interesse pubblico e sociale». La pubblicazione di notizie coperte da segreto, anche se di rilevanza pubblica, potrebbe infatti comportare il processo per il giornalista, col rischio di una condanna fino a tre anni di reclusione. «Questo non soltanto non è degno di un paese civile – ha sottolineato ancora Lorusso –, ma non è assolutamente in linea con quello che è l’indirizzo consolidato della Cedu». Una tempesta perfetta, incalza Verna, che impedisce ai giornalisti di svolgere serenamente il proprio lavoro. Una situazione aggravata dalla precarietà, in un mondo dove «gli editori chiedono ai giornalisti precari di fare esattamente quello che fanno i giornalisti dipendenti», ha evidenziato Lorusso. Tema rimarcato anche dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che ha accusato gli editori di «miopia». Quasi totalmente assente, in piazza, la politica. «A fronte di questo immobilismo – ha urlato con megafono in mano Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi –, suonano come messaggi di facciata le attestazioni di solidarietà ai colleghi aggrediti o minacciati dalla criminalità, giunte da esponenti del governo e del Parlamento»