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«Siamo tutti d’accordo che vorremmo riaprire tutto quello che si può aprire. Però guardi caso io mi ritrovo ad avere il reparto invaso da nuove varianti, e questo riguarda tutta quanta l’Italia e fa facilmente prevedere che a breve avremo problemi più seri. Questa è la realtà attorno alla quale è inutile fare ricami». Secondo Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, docente all’università Statale del capoluogo lombardo, intervenuto a ’Mattino 5’ sul pericolo varianti di Sars-CoV-2 e sulla necessità di valutare un nuovo lockdown rigoroso come quello disposto per tutta Italia nel marzo scorso. «Le avvisaglie» di come sta evolvendo l’epidemia di Covid-19 nella Penisola «vengono guardando semplicemente un pochino al di là del nostro naso - ha spiegato l’esperto - vedendo che cosa è successo e sta succedendo negli altri Paesi europei, e considerando che ci sono queste nuove varianti, piaccia o no. Le varianti non ce le siamo inventate noi - ha precisato Galli - Le varianti ci sono e sono maggiormente contagiose, quindi vuol dire che hanno maggiore facilità a diffondersi in determinate condizioni che non sono situazioni da ritenersi sicure. Questo è molto spiacevole, ma è un dato di fatto. Non possiamo metterci a un tavolo e fare una trattativa politica o sindacale con il virus. Il virus segue le sue regole e le sue modalità di diffusione». Quanto alle polemiche nate dopo le dichiarazioni di Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, per Galli «è chiaro che chi, compreso il sottoscritto, vi dice che "attenzione bisogna chiudere di più" può correre il rischio di esagerare nel fare queste affermazioni. Ma il rischio di esagerare, ahimè - ha ammonito l’infettivologo - è inferiore alla probabilità di avere purtroppo, per l’ennesima volta, ragione». «Voglio dire un no netto e chiaro all’utilizzo delle varianti come "clava politica". La scienza sia sempre libera da interessi economici e politici», è invece la posizione del direttore sanitario dell’Inmi Spallanzani di Roma, Francesco Vaia. «Sono sempre stato contrario e lo ribadisco. Sì ad azioni chirurgiche circoscritte, interventi come quello scattato ad esempio in Umbria». Francesco Vaia dice no al lockdown totale, ritenendo invece valido l’attuale sistema dei colori: «È inutile introdurre norme ancora più stringenti - afferma in un’intervista a Il Giornale - basta il cambio di colore dove necessario. Indispensabile invece per rispettare le norme vigenti. Dico ai cittadini che questa libertà ce la dobbiamo guadagnare: non voglio più vedere assembramenti. Sì ai ristoranti aperti, ma non facciamo i furbi. No ai tavoli affollati e che tutti indossino correttamente la mascherina. Dobbiamo essere più intelligenti del coronavirus». A proposito delle varianti di Sars-CoV-2, «a settembre qui nel Lazio - ricorda - si era già affrontato la variante spagnola che circolava di più tra i giovani. Per la variante inglese nel Lazio sono stati identificati per ora soltanto 39 casi. Non dobbiamo per questo sottovalutare il rischio, ma fare grande attenzione soprattutto tra i giovani perché sono loro con una vita più attiva che da asintomatici portano in giro il virus. Dobbiamo sempre evitare che infettino i più fragili». Vaia conferma il proprio no all’utilizzo delle varianti come «clava politica». «La scienza - aveva scritto ieri su Facebook - sia sempre libera da interessi economici e politici». «Affermazione che confermo - ribadisce - Non significa che io sottovaluti il rischio varianti che non devono trovarci indeboliti. Non dobbiamo rincorrerle, ma affrontarle con le armi giuste che non sono lockdown totali e generalizzati, ma i vaccini e le terapie innovative come gli anticorpi monoclonali. Non ha senso chiudere e riaprire con le stesse condizioni. Puntiamo alla vaccinazione di massa». «Tutto quello che va detto da tecnici è scritto sul verbale della riunione del 4 febbraio che verrà pubblicato 45 giorni dopo». A dirlo in un’intervista al Corriere della Sera è il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani e membro del Cts, il Comitato tecnico scientifico, che in tema di ultime restrizioni, divieti, lockdown taglia corto: «Un parere del Cts e un’ordinanza del ministro si sono espressi sull’argomento. Non troverei serio aggiungere altro, tantomeno valutazioni personali» perché «noi esperti o presunti tali dovremmo astenerci dall’esprimere pubblicamente punti di vista personali sugli argomenti intorno ai quali ci vengono richiesti pareri tecnici da parte delle autorità politiche». Poi sul punto scientifico afferma: «Le misure di contenimento richieste dalle varianti sono le stesse del virus originario, ma se è vero, come sembra, che alcune di queste mutazioni sono caratterizzate da maggiore contagiosità, sarà necessaria allora un’ attenzione ancora più scrupolosa nell’attenersi alle misure di contenimento». «Il sistema in essere nel nostro Paese, che gradua le misure nei territori in base alla situazione epidemiologica, può funzionare, anche perché consente (lo si sta facendo in Umbria e Alto Adige, per esempio) l’istituzione su specifiche porzioni del territorio di misure di contenimento ulteriormente restrittive rispetto a quelle nazionali», conclude. «Sars-Cov-2 e la variante inglese diventeranno tutt’uno. Per i ceppi del passato ci sarà sempre meno spazio», dichiara in un’intervista a la Repubblica l’epidemiologo computazionale Alessandro Vespignani che dirige il laboratorio di modellistica dei sistemi biologici alla Northeastern University di Boston, secondo cui il virus made in GB «arriverà a essere prevalente, grazie alla maggiore capacità di infettare». Aggiunge l’epidemiologo: «L’aumento della prevalenza non si può frenare, è solo questione di tempo. Essendo più contagioso, il ceppo inglese tenderà a soppiantare gli altri. Ma la prevalenza è solo un numero relativo: indica quanti dei nuovi contagi sono causati dalla variante britannica. Quel che possiamo fare è ridurre il numero assoluto dei casi. Se riusciremo a tenerlo basso, la situazione resterà contenibile. Ma è importante agire adesso. Le prossime due settimane saranno quelle in cui probabilmente la prevalenza andrà dal 25% al 50%». Che fare allora? «Essere cauti con le riaperture», è la risposta di Vespignani.