Il 4 maggio non è cominciata - nella solita confusione di idee e parole, ma sotto sotto anche con un pizzico di fiducia - la cosiddetta Fase 2 dell’emergenza virale: non del governo, per carità, perché quella si è persa per strada col sopraggiungere del Covid 19, dopo essere stata programmata per la fine di gennaio. E forse non è stato neppure un male per Giuseppe Conte, perché le fasi 2 ai governi portano generalmente male.

Lunedì scorso, all’incirca, è maturato anche un altro approccio del sempre più preoccupato presidente della Repubblica al movimento o sommovimento dei partiti, di maggioranza e di opposizione, attorno all’esecutivo. Sergio Mattarella è passato - mi dicono, spiazzando anche alcuni suoi consiglieri - da un no secco ad un altrettanto secco sì all’ipotesi di elezioni anticipate in autunno. Anche a costo di mandare gli elettori alle urne con la mascherina, e con le distanze di sicurezza definite addirittura “sociali” da molti senza rendersi conto dell’enormità di questo aggettivo. Cui sarebbe preferibile quello di “fisiche”.

Apparentemente contraddittoria, la linea del capo dello Stato è rimasta invece coerente, come vedremo, con la sua ostilità, nei tempi che corrono e che non sono molto luminosi, ad una crisi al buio, da aprire e affrontare come in una bisca.

Il 17 aprile scorso - segnatevi bene questa data - il quirinalista principe del nostro giornalismo, che è Marzio Breda, traduceva così sul Corriere della Sera lo stato d’animo del presidente della Repubblica di fronte ai partiti che maramaldeggiavano più o meno esplicitamente per un’altra crisi estiva diretta questa volta con successo, contrariamente all’anno scorso, quando fu attivata da Matteo Salvini, verso la chiamata autunnale alle urne: «Prima di tornare al voto servono un referendum e una legge elettorale. Chi li farebbe? E anche per cambiare in corsa il capo del governo ( se mai ci si riuscisse) occorrerebbero almeno due- tre mesi di consultazioni e negoziati. Una follia pensarci, mentre il virus infuria».

Il referendum di cui scriveva il quirinalista del Corriere è naturalmente quello sulla riduzione del numero dei parlamentari, già indetto per il 29 marzo ma rinviato a data ancora da fissare per evitare di trasformarlo in un’occasione di contagio virale.

La legge elettorale è quella naturalmente conseguente alla realtà di un Parlamento cambiato così radicalmente, a rischio di non poter più contenere la rappresentanza di parti consistenti del Paese applicando la legge elettorale oggi in vigore.

Ebbene, vediamo cosa lo stesso Breda, parlando al Quirinale con le stesse persone, cioè attingendo alle stesse fonti, ha scritto non più tardi del 6 maggio scorso: «Se poi davvero la deadline del governo Conte fosse a giugno, come si sostiene, Mattarella ci manderebbe alle urne a settembre, nel quadro istituzionale che c’è adesso. Cioè con l’esecutivo dimissionario a traghettarci al voto. Con i sommovimenti tra i due fronti suggeriti dagli ultimi sondaggi, nessuno può dare per scontato come andrebbe a finire».

Che cosa è accaduto fra il 17 aprile e il 6 maggio perché gli umori al Quirinale cambiassero così tanto?

Che cosa è accaduto oltre all’apertura della già ricordata Fase 2 dell’emergenza, in cui il virus ha perso forza, come dicono gli esperti, ma non si è certamente spento e non ha smesso di fare paura, essendo stati tutti gli allentamenti delle restrizioni accompagnati con l’avvertimento che si potrebbe tornare indietro in qualsiasi momento?

E’ accaduto che Mattarella si è sentito frainteso dai protagonisti e attori della politica, di maggioranza e di opposizione, ed ha reagito con la durezza di cui solo i calmi sono capaci quando si arrabbiano davvero. Poiché il no alle elezioni anticipate, che dipendono - ricordiamolo - dalle valutazioni esclusive del presidente della Repubblica per esplicito dettato costituzionale, che lo obbliga solo a “sentire” prima i presidenti delle Camere per questioni, diciamo così, di galateo istituzionale, è stato interpretato da qualche parte - ripeto, di maggioranza e di opposizione - come licenza a giocare col governo come al pallone, mandandolo in porta e fuori porta, in tribuna o altrove, perché alla fine il presidente della Repubblica avrebbe sempre trovato il modo di venirne a capo senza elezioni.

Mattarella ha cambiato, diciamo così, il suo schema di gioco. E in nom` e della chiarezza, che in un sistema parlamentare quale continua ad essere il nostro, pur nell’emergenza virale, non può prescindere più di tanto dalla sovranità popolare scritta anch’essa in Costituzione, ha avvertito i giocatori delle due squadre formalmente in campo che è pronto a mandarle negli spogliatoi. E poi se la vedono loro con gli elettori, pagando il prezzo che costoro decideranno. Pazienza - sembra di capire, se quello di Mattarella è un colpo vero, come merita di essere interpretato per l’autorità del capo dello Stato, e non a salve - se il Parlamento uscito da elezioni anticipate nascerà comunque ammaccato e delegittimato, essendo destinato dopo qualche mese a sembrare superato dal dimagrimento prevedibile col referendum che dovrà svolgersi successivamente.

A meno che gli umori popolari non cambino tanto da fare scoprire che quel dimagrimento farebbe più male che bene alla democrazia rappresentativa.

Anche questo forse si potrebbe mettere nel conto del fantasma elettorale che si aggira adesso nei palazzi della politica.