Uno vale uno, d’accordo. Però c’era una eccezione, maestosa come lo spinnaker gonfiato dal maestrale che ti fa riconoscere e ti annuncia chilometri da lontano. L’eccezione erano loro due, Grillo e Casaleggio, inseparabili dioscuri di un movimento venuto su dal nulla, imbottito dai malmostosi contorcimenti della pancia dell’elettorato, e diventato la prima forza politica italiana o giù di lì. Ma che succede se l’uno non c’è più, trascinato via dal male che ti mangia dentro; e l’altro che al palcoscenico delle istituzioni preferisce senza incertezze quello dei teatri? Nessuno può saperlo con certezza. Eppure da oggi in poi è questo il principale interrogativo della politica Italia, ora che Gianroberto Casaleggio, ad appena sessantuno anni compiuti, ha perso la sua battaglia con il tumore e Beppe sui prosceni “comunica” i seguaci poggiando grilli secchi sulle loro lingue, e il ricordo dei Vaffa day scolora nei corridoi dei passi perduti di Montecitorio.Che succede ora ai grillini? Chi raccoglierà in eredità l’arsenale di voti e dove si collocherà il patrimonio di consensi ottenuti nelle urne? Una cosa è certa: la capacità visionaria di Casaleggio non ha successori. Sotto quel profilo nessuno tra i Cinquestelle potrà succedergli.Non basta. Le nuance di riservatezza, il tratto freddo fino a diventare algido, la ritrosia sciorinata come un vessillo difficilmente produrranno nel corpaccione del Paese un effetto Berlinguer. In fondo, almeno al momento, non ce n’è bisogno: nei sondaggi - ai quali peraltro Casaleggio si vantava di non credere - i Cinquestelle sono già dati vincitori alle politiche contro il Pd in caso di ballottaggio. Però l’interrogativo di fondo, quello politicamente più ruvido, resta. Se i protagonisti lasciano, tocca ai rincalzi farsi avanti. Il punto è proprio questo. Chi comanderà ora nel Movimento, chi darà le carte? Grillo, certo. Tuttavia già prima l’ex comico aveva deciso di fare un passo indietro. Adesso che Gianroberto non c’è più, dovrebbe ripensare la sua scelta. Non lo farà. Per sua stessa ammissione, è arrivato in politica praticamente per caso, anche se con un successo clamoroso, figlio però - sempre Casaleggio dixit - di una fortissima popolarità conquistata fuori dal perimetro del Palazzo. Ma se quella cavalcata da velleitaria è diventata trionfale è perché c’era lui, Gianroberto, il mago della comunicazione deciso a prendere a randellate il sistema marcito per sostituirlo, riproducendoli, i fasti della Grecia di Pericle. Mai più sarà così. E i Dioscuri, si sa, simul stabunt, simul cadent. Perciò tocca ai componenti del Direttorio prendere le redini: ai vari Di Battista, Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia. Più facile a dirsi che a farsi. Alla domanda intrisa di tendenziosità “chi prende le decisioni tra di voi”, solo Casaleggio poteva rispondere con credibilità più o meno condivisa “la Rete, perché non abbiamo leader”. La nota stonata suona qui: se una risposta del genere la danno quelli del Direttorio non ci crede nessuno. Per cui delle due l’una: o, come in tutte le famiglie politiche che si sono avvicendate nel tempo, tra i magnifici Cinque (o di più: hai visto mai?) comincia una battaglia per la successione che inevitabilmente avrà anche momenti cruenti (in senso figurato, of course); oppure il gioco dei veti incrociati, delle cordate sottotraccia, delle intese asimmetriche produrrà un’impasse via via più paralizzante.Ci sarebbe, in verità, anche un’altra opzione. La più urticante, è vero; quella che nessuno dei dirigenti o dei militanti grillini si sognerebbe mai di avvalorare e che, tuttavia, minaccia di diventare una strada obbligata: diventare un partito vero e proprio, con i propri meccanismi di selezione dei capi, con regole condivise per gestire ambizioni e aspirazioni. Vorrebbe dire misurarsi con la più stordente delle realtà, la più finora orgogliosamente rifiutata. A ben vedere, la più democratica. Chissà. Una cosa è certa: ci sono milioni di italiani che hanno votato Cinquestelle magari bellamente ignorando chi fosse Casaleggio. Ora sono frastornati: annusano che qualcosa è cambiato. E’ a loro che Grillo e seguaci devono dare risposte, e anche piuttosto a breve. Poi, risolti in qualche modo i rapporti di forza interni, giocoforza bisognerà alzare lo sguardo, osservare l’orizzonte e vaticinare il futuro. Casaleggio lo sapeva fare come nessun altro. E un vuoto così non c’è niente fare: non si può riempire.