È stata depositata lo scorso 14 aprile la sentenza a sezioni unite n. 14573/2022 con la quale il Supremo consesso è stato chiamato, a seguito di ordinanza di rimessione della Sesta penale della Cassazione, a pronunciarsi su una questione tanto tecnica quanto assai delicata. I temi oggetto della decisione toccano fondamentalmente due momenti, espressione del più generale e supremo diritto di difesa: la notificazione di un provvedimento a una persona imputata in un procedimento penale (nella specie, un decreto di citazione a giudizio) e – come conseguenza – il diritto dell’imputato ad essere messo nelle condizioni di poter partecipare concretamente ed attivamente allo stesso, con tutte le tutele e garanzie offerte dal nostro ordinamento. In particolare, la questione portata all’attenzione delle sezioni unite concerne la legittimità o meno della “notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p., nel caso in cui l’addetto al servizio postale incaricato della notificazione abbia in precedenza attestato l’irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto” e, più nel dettaglio, il rapporto tra il citato articolo e l’art. 170, comma 3 del codice di rito. Le sezioni unite concordano sull’esistenza di due orientamenti interpretativi: il primo, basato sulla non perfetta sovrapponibilità della notificazione a mezzo postale e di quella a mezzo ufficiale giudiziario, che ritiene affetta da nullità assoluta la notificazione sostitutiva al difensore (art. 161, comma 4, c.p.p.) quando “accertata dall’addetto al servizio postale l’irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto, non si sia attivata la notifica con le modalità ordinarie ai sensi dell’art. 170, comma 3, c.p.p.”; il secondo, che, onde evitare paradossi applicativi, ritiene riconducibile alla nozione di irreperibilità del destinatario, legittimando così la notificazione sostituiva al difensore, anche solo una mera “temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o la non agevole individuazione dello specifico luogo” (Cass. pen., sez. I, n. 23880/2021). In questa seconda ipotesi, dunque, l’operatività dell’art. 170, comma 3, c.p.p. sarebbe circoscritta ai soli casi di prima notificazione all’imputato non detenuto, ossia a tutti quei casi in cui, mancando una dichiarazione o elezione di domicilio, vani i tentativi effettuati per eseguire la prima notifica, si perviene all’adozione di un decreto di irreperibilità. Con la pronuncia in esame è stata adottata una posizione intermedia, tesa, da un lato, a non vanificare il procedimento di notificazione quando siano state rispettate le formalità previste dall’ordinamento, dall’altro, a garantire l’effettività della conoscenza del processo in capo all’imputato, anche alla luce dei moniti provenienti dalla giurisprudenza della Corte Edu nonché dalla novella del 2014 (l. 67/2014) in materia di procedimento in assenza. La Corte, dunque, ritenuta la piena equiparabilità tra la notificazione di atti giudiziari a mezzo posta e quella compiuta personalmente a mezzo ufficiale giudiziario, ha concluso esprimendo che “nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell’art. 161, commi 1, 2 e 3, c.p.p. il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all’ufficio postale ai sensi dell’articolo 170 c.p.p. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l’ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all’art. 161, comma 4, prima parte”. In tali ipotesi le sezioni unite ritengono sufficiente, ai fini della regolarità, la notificazione sostituiva al difensore tranne che, come previsto nell’ultimo capoverso del comma 4 dell’art. 161 c.p.p., per caso fortuito o forza maggiore l’imputato non ha potuto comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto. Questo arresto ha annullato tanto la sentenza della Corte distrettuale quanto quella del Giudice di prime cure ritenendo, sulla scorta di alcuni indici sintomatici, che: 1) l’imputato non avesse avuto effettiva conoscenza dell’instaurando procedimento (nella fattispecie, non avendo mai avuto per tutto il decorso processuale un reale contatto con il proprio difensore); 2) conseguentemente, la sua assenza non poteva ricondursi ad una scelta volontaria di rinunciare ad esercitare un proprio diritto ovvero di sottrarsi alla conoscenza dello stesso bensì ad un difetto circa la regolare costituzione del rapporto processuale. Merita sottolineare, quindi, come questo importante principio sicuramente e condivisibilmente garantista si pone in linea di esatta continuità con quanto già previsto dalla cosiddetta riforma Cartabia, ratificandone in sostanza gli esiti: all’art. 1, comma 7, lett. a), infatti, si evidenzia la necessità di prevedere “che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo” mentre alla successiva lett. b) “che ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del processo, l’autorità giudiziaria possa avvalersi della polizia giudiziaria”. Anche l’Autorità giudiziaria, pertanto, è aderente alla più attuale riforma: che possa questo esser da spunto per giungere ad un punto condiviso e non lesivo dei diritti dell’imputato. *Avvocato, direttore Ispeg - Istituto per gli studi politici, economici e giuridici