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Norimberga
Il processo ai gerarchi del Terzo Reich si apre con le macerie ancora fumanti nel cuore dell’Europa, a sei mesi dalla caduta del regime. È l’ottobre del 1945 e come sede viene individuata Norimberga, una scelta non casuale, la città tedesca è stata infatti il teatro prediletto della propaganda hitleriana che ogni anno celebrava per le sue strade la nascita il partito nazionalsocialista, una capitale “ideologica”.
Oltre quattrocento udienze in 11 mesi, centinaia di testimonianze dirette, decine di migliaia di documenti da esaminare e, per la prima volta in un’aula di tribunale, vengono proiettate delle immagini su uno schermo per descrivere le atrocità commesse dai nazisti, alla sbarra per crimini di guerra e crimini contro la pace. Non figura invece l’accusa di genocidio che acquista realtà giuridica solamente tre anni dopo, nel 1948 nella Conferenza di New York.
Quello di Norimberga è anche il “processo dei vincitori”, Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e persino la Francia, riuscita a infilarsi in extremis grazie al colpo di reni del generale De Gaulle. Ogni nazione vincitrice infatti era rappresentata in aula da un giudice, un sostituto e i diversi procuratori.
Sovietici e britannici inizialmente non erano d’accordo sulle modalità con cui far svolgere il processo, Stalin aveva in mente i tribunali sommari del “grande terrore” con cui negli anni trenta aveva fatto giustiziare tutti i suoi oppositori, roba da far impallidire l’odierna Russia di Putin.
Churchill, da parte sua, si era spinto ancora più in là, sostenendo che i criminali nazisti sarebbero dovuti essere giustiziati «entro sei ore dalla cattura!» in quanto le prove di colpevolezza nei loro confronti erano schiaccianti. Alla fine prevalse il modello americano, molto più simile agli standard del moderno stato di diritto che prevede una procedura giudiziaria fondata sulla presunzione di innocenza e sul diritto degli imputati ad avere un avvocato, un processo equo per rispondere ad accuse formulate con chiarezza.
Il “pezzo grosso” era ovviamente Herman Goering, ex capo della Luftwaffe (l’aeronautica militare), ministro dell’aviazione e membro del cerchio magico di Hitler che per lungo tempo lo “elesse” a numero due del regime.
Il responsabile della propaganda Goebbels si era suicidato assieme all’amato fhurer nel bunker di Berlino, stessa sorte per il capo delle Ss Himler che si toglie la vita mentre era prigioniero degli alleati, il segretario personale di Hitler, Martin Borman viene infine freddato da un carro armato russo mentre tentava di fuggire dalla capitale tedesca. Mengele, medico dei campi di sterminio e Eichman, il “burocrate della Shoah” sono invece fuggiti in sudamerica ( il primo morirà di cause naturali, il secondo sarà catturato dal Mossad, processato e giustiziato in Israele nel 1961.
Assieme a quello di Goering i giudici leggono i nomi di altri 23 imputati: 12 vengono condannati a morte, tre all’ergastolo, quattro a pene dai 10 ai vent’anni di prigione. I restanti quattro se la cavano con un’assoluzione e un proscioglimento per motivi di salute grazie al giudice sovietico Iona Timofeevich Nikitchenko.
Alla lettura dei capi di imputazione sono professati tutti innocenti, affermando di non essere a conoscenza dello sterminio degli ebrei e di altri orrori compiuti dal regime, oppure di aver semplicemente «eseguito gli ordini», o addirittura evocando l’incapacità di intendere e di volere come Alfred Jodl, capo del Comando generale delle forze armate che affermò: «Non ero più me stesso». Una linea difensiva che si rivela fallimentare.
L’unico ad esibire spavalderia, ad avere atteggiamenti sprezzanti verso i testimoni, ad accompagnare con i sorrisetti e le smorfie le osservazioni dei procuratori e i racconti dei testimoni è Goering. Almeno fino a quando sullo schermo piazzato al centro dell’aula non appaiono le immagini dei campi di concentramento, dei forni crematori, dei mucchi di ossa dei prigionieri, in gran parte ebrei, ma anche omosessuali, gitani, malati di mente. A quel punto l’ex “eroe” della Prima guerra mondiale capisce che è tutto finito, che verrà condannato a morte. Sfugge all’impiccagione alla vigilia dell’esecuzione, suicidandosi, come Himler, con la classica pasticca di cianuro. Gliela aveva fornita una guardia americana che era rimasta affascinata dalla sua personalità magnetica.
I detrattori del processo hanno sempre sottolineato i limiti e le storture della “giustizia dei vincitori” gli unici a e essere rappresentati nel collegio inquirente e giudicante, l’assenza dei crimini di guerra commessi dagli Alleati come le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki o la distruzione di Dresda e di altre decine di città tedesche. Oppure c’è chi, in punta di diritto, fa notare come i reati contestati ai gerarchi nazisti non fossero presenti nel codice penale e che quindi essi vennero giudicati sulla base di leggi create ad hoc contro di loro come i crimini di guerra e i crimini contro la pace. Era peraltro la tesi di Otto Stahmes, difensore di Goebbels che in aula ha citato il principiodel nullum crimen, nulla poena sine Lege Praevia.
Giudicare Norimberga dal punto di vista giuridico è un esercizio interessante ma del tutto fuori dalla Storia: il processo ai crimini del Terzo Reich, si è svolto secondo standard giuridici per noi oggi inaccettabili, ma allo stesso tempo ha gettato le fondamenta per la moderna giustizia internazionale.