Non si perde, ma se si perde... È l'incipit che hanno in comune tutti i discorsi sull'Emilia, se si presta orecchio alla sponda sinistra della barricata. E la conclusione di quasi tutti è una sola: il governo non traballerà ( o almeno ci proverà), ma il segretario Nicola Zingaretti trarrà le sue conclusioni. Quali, è facile immaginarlo.

«Sovrapporre il piano nazionale e quello locale è come mischiare pere e mele» ripete un parlamentare, «ma è chiaro che una sconfitta in Emilia significa qualcosa per il Partito Democratico». Bocche cucite fino a lunedì, ma è chiaro che quel «qualcosa» è la caduta di un piccolo ma solido muro culturale, politico e sociale che ' l'Emilia rossa' ha incarnato per una stagione politica che ha resistito e si è protratta ben oltre la prima repubblica. Era la ' ditta' di bersaniana memoria, quella che potrebbe venire archiviata. Zingaretti, romano e cresciuto alla scuola capitolina dell'eminenza grigia Goffredo Bettini, non appartiene certo a quel mondo, ma in una certa misura ha provato a incarnarlo, soprattutto nella sua iniziativa di riportare i dem più decisamente a sinistra. Dunque, se crolla quel muro, un segretario che ha fatto proprio di quella dimensione politica una parte del suo immaginario non può che seguire il manuale di quella scuola: prendere atto e presentarsi dimissionario all’assemblea del partito, facendosi carico dell’esito elettorale. Del resto, a riassumere proprio questo ci ha pensato in una intervista al Corsera un notabile del partito come Graziano Delrio, renziano anomalo che si è poi allontanato dal leader scissionista, tenuto in grande considerazione dall'attuale segreteria: «Se si perde ci saranno ripercussioni su tutti i fronti». Più cauta, in questa fase, è proprio l'ex prima linea renziana rimasta nel Pd. Di segreteria nessuno vuol parlare e pochi si sbilanciano, se non con mezze risposte: «Ne riparliamo lunedì...», commenta uno di loro. Come a dire che ci sarà tutto il tempo per arrivare anche alla resa dei conti nella segreteria.

«Zingaretti? Non credo che qualcuno gli chiederà di dimettersi», taglia corto un ex parlamentare di lungo corso e membro dell’assemblea. L’ipotesi più accreditata, infatti, è che Zingaretti si presenti dimissionario, poi starà al partito accettare il passo indietro. Tra i corridoi del Nazareno si ipotizza un avvicendamento lampo con il suo vice, Andrea Orlando, che da tempo ha dichiarato di volersi occupare del partito, tanto da aver rifiutato per questo di entrare nella lista dei ministri del Conte 2. Sarebbe questo, secondo alcuni, l’unico modo per tenere indenne il governo, per quanto possibile: che Zingaretti si intesti la responsabilità oggettiva della sconfitta emiliana come tutta interna al Pd, tentando in questo modo di mantenerla relegata ad una dimensione territoriale. In caso di sconfitta, dunque, il timing potrebbe essere quello di una anticipazione del congresso straordinario già annunciato da Zingaretti per non lasciare senza testa ( o con un traghettatore senza legittimazione formale) quello che ormai è tornato ad essere l’unico partito di opposizione - pur stando al governo - al dilagare salviniano. Eppure, non sono in molti a illudersi che possa bastare una mossa del genere. Del resto, continua l’ex deputato, «È inutile nascondersi: i problemi ci saranno e riguarderanno il governo».

Gli alleati della maggioranza stanno combattendo con tutte le loro forze perchè così non sia: tutti memori della “jella” portata dalla foto di gruppo Conte- Di Maio- Zingaretti con il candidato umbro poi sconfitto, il segretario del Pd ha messo più chilometri possibili tra sè e l’Emilia, andando a chiudere la campagna elettorale in Calabria, dove il Pd non è mai nemmeno stato considerato in partita contro la candidata del centrodestra. Conte ripete che «il risultato del voto non peserà sul governo». Di Maio, addirittura, si è chiamato fuori dai giochi prima di sapere l’esito. Peccato, però, che ci pensi Matteo Salvini, forte del vento in poppa nei sondaggi, a ribadire ad ogni occasione come il crollo alle regionali sia il requiem per il Conte 2 e sia impensabile scindere i due destini: «Evidentemente dalle parti di Zingaretti si vivono ore di disperazione. Ieri ci sono state quelle di Di Maio, lunedi ci saranno le dimissioni di qualche altro leader della maggioranza».

Al netto dei retroscena, tuttavia, la politica si costruisce su numeri e fatti: i sondaggi ( che non sono numeri ma proiezioni) danno la leghista Lucia Borgonzoni leggermente avanti rispetto a Stefano Bonaccini, ma gli incerti sarebbero ancora intorno al 20%. Comunque vada, lunedì ci sarà un cambio di passo: sia nel Pd che nel governo.