Martedì scorso il pemier israeliano Netanyahu aveva rilasciato una dichiarazione che ha creato più di un imbarazzo fra gli alleati che stanno tentando di trovare una via diplomatica alla crisi di Gaza. Netanyahu aveva detto alla rete televisiva americana ABC news che al termine del conflitto Israele si sarebbe assunta la responsabilità della sicurezza nella Striscia. Questo perché, secondo il premier, nessuno è stato in grado di farlo fino ad ora e determinando poi i tragici eventi del 7 ottobre.

Ora Bibi è tornato sui suoi passi modificando la precedente dichiarazione in senso opposto e, a ben vedere, abbastanza vago. Occuparsi della sicurezza di Gaza infatti equivarrebbe ad affermare che l'esercito sarebbe rimasto nel territorio palestinese occupando di fatto militarmente e tornando allo stato recedente al 2005 quando Israele uscì da Gaza blindando i confini. Secondo Netanyahu questo non succederà, nessuna occupazione della Striscia ma il tentativo di smilitarizzarla. Dopo di che un governo civile (non ha specificato chi dovrebbe presiederlo e da chi dovrebbe essere composto) governerebbe l'enclave. Netanyahu è stato ancora più preciso nel ribadire questo concetto: «Gaza dovrà essere smilitarizzata, deradicalizzata e ricostruita». Ciò è possibile solo dopo la completa eliminazione di Hamas.

«Non cerchiamo di governare Gaza, non cerchiamo di occuparla. Ma noi cerchiamo di dare a noi un futuro migliore... e questo richiede la sconfitta di Hamas», ha detto a Fox news il primo ministro israeliano che ha anche aggiunto: «Mi sono posto degli obiettivi, non ho fissato una tabella di marcia perché può volerci più tempo. Quali siano i piani di Netanyahu ci vorranno altri mesi per sconfiggere i miliziani. In questo senso va vista l'opposizione di Israele a qualsiasi tentativo di imporre una tregua umanitaria, l'unica concessione è quella di pause di poche ore che servono ai civili per allontanarsi dalle zone dei combattimenti, un esodo disposto dallo stesso esercito israeliano impegnato ancora in intensi bombardamenti. Per l’IDF infatti, fermare l'offensiva, significa consentire ad Hamas di riorganizzarsi.

Ma la marcia indietro di Netanyahu molto probabilmente è stata dettata dal richiamo, neanche troppo velato, dell'alleato statunitense che sta tentando di comporre un delicato puzzle per giungere a una soluzione del conflitto senza far venir meno il sostegno a Israele partendo proprio da una pausa generalizzata per far entrare aiuti ai civili e trattando per la liberazione degli ostaggi. La preoccupazione della Casa Bianca è evitare un allargamento del conflitto, in questo senso chi soffia sul fuoco non manca, come fa ad esempio l'Iran tutti i giorni evocando scenari apocalittici.

Molta confusione è stata generata da una comunicazione maldestra, dall'interno del governo dicono che le parole del premier non si riferissero ad un'occupazione militare e ma a un controllo amministrativo. Tutti i piani per il futuro però lasciano spazio alla guerra, che ieri infuriava intorno agli ospedali di Gaza. Testimoni oculari hanno riferito ai che le forze israeliane sono vicine ai nosocomi Al-Shifa, Al-Quds e l'ospedale indonesiano, dove sono state segnalate violente esplosioni. Anche Israele ha confermato che sta operando vicino ad Al-Shifa dove ci sarebbero purtroppo diverse vittime. Alcuni filmati apparsi sui social media hanno mostrato carri armati dello stato ebraico fuori dall'ospedale pediatrico Al-Rantisi. Le truppe hanno ordinato a chiunque non fosse personale medico o paziente di andarsene.