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Associated Press/LaPresse
Nel 1961 il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, l’organizzatore dell'olocausto, venne processato in Israele. Un evento, il primo di questo genere, trasmesso in tutto il mondo. Bisognava mostrare al pianeta la follia omicida dei nazisti e il male assoluto da essi rappresentato. Nessun avvocato israeliano accettò di difendere Eichmann. Persino l’ucraino John Demjanjuk, accusato di avere massacrato migliaia di ebrei nel campo di sterminio di Sobibor venne difeso, tra le polemiche, dall’avvocato Yoram Sheftel. Era il 1986.
Più di 60 anni dopo Eichman, il sistema giudiziario israeliano si trova di fronte a un dilemma simile, ma questa volta con centinaia di persone coinvolte. Si tratta dei prigionieri di Hamas sospettati di aver partecipato ai massacri del 7 ottobre.
Per loro numerosi legali ed esperti forensi pensano a un processo simile a quello contro il gerarca nazista. Gli avvocati dell'ufficio del difensore pubblico dello Stato israeliano, che in altre occasioni avevano rappresentato imputati palestinesi tra cui membri di Hamas, si stanno sfilando uno ad uno rinunciando all'incarico.
Si è aperto dunque un dibattito La destra al governo sostiene che gli imputati devono essere giudicati da tribunali militari mentre legali per i diritti umanichiedono di rispettare il diritto dei prigionieri a un processo equo, nonostante le ferite profonde subite da Israele.Tutta la discussione dunque verte su due poli: il diritto di chi è stato colpito di vedere giudicati i presunti carnefici e quello degli imputati ai quali non può essere negato un giusto processo.
Attivisti e gruppi per i diritti umani hanno fatto notare che per i palestinesi è difficile ottenere un processo equo. I detenuti accusati di crimini contro la sicurezza di solito siedono davanti tribunali militari a porte chiuse in cui le prove sono spesso classificate se provengono dalla Cisgiordania occupata.
Sono stati segnalati anche casi di tortura e diversi uomini sono morti in detenzione dall'inizio della guerra di Gaza. Secondo il diritto israeliano le persone arrestate il 7 ottobre non sono considerate prigionieri di guerra ma combattenti illegali, come i sospetti membri di al Qaida a Guantanamo. Molti si trovano rinchiusi nel carcere di Ktzi'ot nel deserto del Negev, nella cosiddetta modalità lockdown cioè in celle senza finestre.
A quanto pare però l'accusa intende trasformare, come nel caso Eichmann, il processo in un evento dalla valenza storica con il pericolo di bypassare le garanzie minime della difesa. L'ufficio del difensore pubblico, che fornisce difesa legale sostenuta dallo Stato, per la prima volta nei suoi 30 anni di storia, ha rilasciato una dichiarazione in cui ammetteva che non sarebbe stato in grado di occuparsi del caso.
Ad esempio Elad Danoch, presidente dell'Ordine degli avvocati del distretto meridionale di Israele, ha detto che coloro che hanno commesso «crimini contro l'umanità, crimini di genocidio» non dovrebbero ricevere una rappresentanza pagata dai «contribuenti israeliani, comprese le famiglie dei rapiti, assassinati e feriti».
Un'atmosfera ancora una volta cavalcata dalla destra, come dimostra il disegno di legge presentato il mese scorso da Simcha Rothman, capo della commissione giudiziaria e costituzionale della Knesset, che impedirebbe alle persone arrestate il 7 ottobre di essere rappresentate dal legale difensore d'ufficio, ufficialmente per «evitare il disagio» degli avvocati.
Altri eminenti legali hanno avvertito che potrebbe verificarsi il risultato opposto. Molte prove infatti sono andate perdute il 7 ottobre quando le case sono state bruciate o i soccorritori si sono precipitati a raccogliere centinaia di corpi. In questa maniera verrebbe meno il principio di provare i reati al di là di ogni ragionevole dubbio, così fasi dell'attacco di Hamas potrebbero non essere incriminate.