La prima donna spedita al 41 bis è stata lei. Nella Serpa, capelli biondi, sguardo di sfida e un curriculum riscritto dalla Dda che fa tremare: per l'antimafia è a capo dell'omonima cosca di Paola, tra le più antiche e temute della provincia di Cosenza. È lei la prima ad essere consacrata "boss" di un clan di ?ndrangheta, sfatando il mito che vuole le donne sempre nelle retrovie a garantire l'unità della famiglia, a mantenere le regole. E ora è di nuovo prima. La prima ad essere condannata all'ergastolo per 416 bis. Lo ha sancito qualche giorno fa la sentenza del processo "Tela di Ragno", che ha fatto luce su una lunga scia di sangue che ha macchiato il tirreno cosentino: sette omicidi, consumati in un inferno di piombo e lupare bianche. Tra questi quello di Pietro Serpa, suo fratello. E lei lo ha sostituito, in tutto e per tutto. Cercando vendetta, ha raccontato in aula il collaboratore di giustizia Giuliano Serpa, suo cugino. «Un giorno ? ha raccontato - l'ho incontrata mentre facevo footing e mi ha fatto un elenco di persone che dovevano morire». "Nella la bionda", 61 anni, al carcere duro a L'Aquila ci finisce a novembre di due anni fa, ribaltando lo stereotipo della donna del sud subalterna al padre padrone. La sua storia ricorda quella delle brigantesse, capaci di ogni efferatezza, ribellione e soprusi, fino a comandare un'intera banda. Così lei, che ha preso in mano le redini del clan arrivando dopo poco a guidarlo. Il suo nome fa paura a molti, tanto che si evita perfino di pronunciarlo. «Nessuno - ha detto durante la requisitoria il pm Eugenio Facciolla - osava nominarla ma la chiamavano "la bionda"». Le accuse contestate dalla Dda sono omicidio, tentato omicidio, estorsione, associazione a delinquere di stampo mafioso. Ufficialmente imprenditrice, due matrimoni, tre figli. Uno di loro muore il 9 aprile 2012, in un incidente stradale, pochi giorni dopo il suo arresto. Lei, però, rimane impassibile e ha in testa sempre gli interessi della famiglia. Così continua ad impartire ordini dal carcere. Prima di finire al 41 bis, da una cella del carcere di Maria di Capua Vetere, la "bionda" tenta di far uscire un manoscritto infilandolo in una confezione di crackers che però non supera l'ispezione della penitenziaria. Dentro ci sono le istruzioni per i suoi parenti, ai quali chiede di screditare un collaboratore di giustizia, un «cesso» che rischia di inguaiare la famiglia. Così viene spedita al carcere duro, per bloccare ogni tentativo di comunicare con l'esterno. Come si fa coi veri boss. Quello dei Serpa è un impero economico florido. Per circa 20 anni, una ditta riconducibile alla famiglia di Paola si sarebbe aggiudicata ogni genere di lavoro pubblico quasi in regime di monopolio. Da qui un sequestro di beni, nel 2014, che però alla fine dello scorso anno sono tornati in mano a Nella Serpa. Una donna temuta e rispettata, come ha spiegato un killer pentito. Adamo Bruno, nel 2007, viene assoldato per eliminare alcuni esponenti del clan, al prezzo di 50mila euro. Gli avversari hanno una richiesta precisa: la prima testa a cadere deve essere proprio quella di Nella, troppo potente e pericolosa. Lei, che nella sua casa incontra gli esponenti di spicco delle cosche cosentine, pianificando affari e omicidi, come quello di Luciano Martello, a Fuscaldo, nel 2007. Secondo i pentiti, avrebbe addirittura accompagnato il commando la sera dell'omicidio. E secondo il cugino Giuliano Serpa, sarebbe stata sempre lei a ordinare l'omicidio di Rolando Siciliano, che considerava tra i colpevoli della morte del fratello. Perché Nella Serpa, dice Facciolla, «decideva tutto e gestiva gli affari della cosca».