A Baku guai a chiamarla “guerra”, si tratta giusto di un’ ”operazione speciale antiterrorismo”, espressione molto in voga evidentemente anche nella capitale azera. «Dobbiamo ripristinare l’ordine costituzionale», tuona il ministro della Difesa dopo l’attacco aereo sferrato nella regione contesa del Nagorno-Karabak, un area del Caucaso abitata da una maggioranza di armeni di confessione cristiana che loro chiamano repubblica di Artsakh.

Colpito a più riprese il capoluogo Stepanakert e altri centri minori con un bilancio provvisorio di due civili uccisi e 30 feriti ma destinato ad aggravarsi nelle prossime ore. Il pretesto per lanciare l’attacco a Baku l’ha fornito la morte di quattro agenti di polizia e due civili azeri nell'esplosione di alcune mine attribuita ad un attentato di un gruppo di sabotatori separatisti. L’Armenia ha negato ogni coinvolgimento parlando di incidente, il che è plausibile considerando che il Nagorno Karabak, teatro di tre guerre negli ultimi trent’anni, è una delle zone del pianeta con maggiore densità di mine anti-uomo.

«È stato un bombardamento massiccio, l’Azerbaigian ha lanciato un’operazione di pulizia etnica nella regione anche con l’esercito di terra, chiediamo all’Onu e alla Russia di intervenire», ha denunciato il primo ministro armeno Nikol Pachinian garantendo che nessun militare di Erevan sta combattendo contro le truppe azere. Lo stanno facendo invece i gruppi separatisti armeni, provando a resistere su tutta la linea del fronte a un’avanzata che «si sta spingendo molto in profondità nell’enclave».

Baku afferma da parte sua che andrà avanti «fino alla caduta del regime di Stepanakert», spiegando allo stesso tempo di essere «molto vicina al completamento degli obiettivi» e fin qui ha ignorato tutti gli appelli per il cessate il fuoco, anche quello lanciato dalle stesse autorità armene.

Ferma la condanna dell’Unione europea che tramite l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrel accusa l’Azerbaigian di «cercare l’escalation militare per forzare l’esodo della popolazione» chiedendo inoltre la «cessazione immediata» delle operazioni di guerra. Parole di biasimo per l’offensiva azera arrivano anche da Francia e Stati Uniti: sia il presidente Emmanuel Macron che il segretario Usa Antony Blinken hanno definito «inammissibile» e «vergognoso» l’uso della forza.

Più equidistante la posizione della Russia, la potenza regionale che sarebbe incaricata di mantenere la pace: «Stiamo lavorando per convincere i due contendenti a sedersi al tavolo dei negoziati per evitare altre perdite umane», dice il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

All’inizio di agosto, l’Armenia ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) di fronte al «deterioramento della situazione umanitaria» nella regione». Il corridoio Lachin, l'unico collegamento terrestre tra Armenia e Karabakh, è stato bloccato per la prima volta da un gruppo di azeri che si spacciavano per manifestanti ambientalisti, prima che Baku stabilisse il blocco totale l'11 luglio per motivi di sicurezza. Un modo lento e collaudato per sfiancare la popolazione e creare l’emergenza umanitaria.

In un rapporto pubblicato all’inizio dello scorso mese, l’ex procuratore della Corte penale internazionale il giurista Luis Moreno Ocampo aveva lanciato un grido di allarme sulle condizioni drammatiche in cui vive la maggioranza armena del Nagorno-Karabak vessata dal governo di Baku, e lo aveva fatto utilizzando un’espressione fortissima: «È in corso un genocidio nei confronti di 120.000 armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh: è infatti genocidio l'infliggere deliberatamente un insieme di condizioni di esistenza destinate a provocare la morte».

La tregua, firmata il 9 novembre 2020 sotto l'egida di Mosca, che aveva messo fine alla guerra aveva anche e soprattutto segnato l'umiliante sconfitta dell'Armenia e il contestuale il ritorno della Russia nella regione con lo spiegamento di circa 2.000 soldati russi con compiti di peacekeeping. In teoria sarebbero le truppe di Mosca che dovrebbero garantire il traffico e la sicurezza del corridoio Lachin. Una missione che la Russia impantanata nella guerra in Ucraina, non è ormai più in grado di portare a termine.