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Come un cane in gabbia, il gruppo Stato Islamico sta continuando l'opera di terrore a Mosul, la città più grande che ha in mano e sua "capitale" irachena. La più volte sbandierata offensiva per riconquistare la città sembra essere veramente alle porte e il fiato del nemico si fa sentire sul collo.Sarà difficile che la strana coalizione di peshmerga curdi, milizie sciite, esercito iracheno, pasdaran iraniani e soldati turchi avanzi sulla città esattamente il 19 ottobre, come ha annunciato trionfalmente ieri il premier turco Erdogan, ultimo a salire sul carrozzone dei nemici dei nemici dell'umanità. Ma che la seconda città di Iraq possa passare di mano entro la fine dell'anno, come spera il premier Haydar al Abadi, non è un'ipotesi assurda. E così, sentendosi braccati, i jihadisti hanno reagito come sanno fare: scappando o intimidendo la popolazione rimasta in città. Mentre sette leader del gruppo hanno imboccato la via della Siria, andando a ingrossare le fila di coloro che hanno preferito la fuga a una battaglia difficile da vincere, almeno 75 prigionieri sono stati giustiziati, secondo la testimonianza ad Ara News, un'agenzia indipendente siriana, rilasciata da uno dei tanti attivisti rimasti in città.Fra le vittime ci sarebbero 25 blogger e media attivisti, tre ragazzi che giocavano a pallone e altri tre pizzicati a scrivere la lettera "m" sulle mura cittadine. Quella dei graffiti è una delle tante azioni di guerriglia a Mosul da quando, nel giugno 2015, il gruppo Stato Islamico la controlla. La "m" sta per Muqawama, che significa "resistenza"; per Muaarada, "opposizione" e per Muwajaha, "contrapposizione". Come la "n" di nasara, "cristiani" che gli iracheni scrivevano sulle proprie case in solidarietà con i cristiani di Mosul perseguitati dall'Isis, così la "m" è diventata fumo negli occhi per i soldati del Califfo. Perché dietro quella lettera c'è l'opposizione di una città che li aveva accolti con fiori e applausi, come i liberatori dalla tirannia e le discriminazioni del governo sciita dell'allora premier Nouri al Maliki. Sono bastati pochi, sanguinosi mesi perché quella speranza si tramutasse in rabbia e paura.Adesso che l'Isis è in difficoltà, anche gli abitanti di Mosul vogliono contribuire alla sua cacciata e hanno dato vita ai battaglioni di liberazione che in pochi mesi hanno risvegliato l'opposizione cittadina con atti dimostrativi e attentati. I "partigiani" sono qualche centinaio e non si conoscono gli uni con gli altri. - ha raccontato alla Cnn uno di loro, rifugiato nella vicina Erbil - «Fanno delle azioni di guerriglia contro le pattuglie dell'Isis che circolano in città e contro i loro esponenti. Ne hanno ammazzati qualche decina. Riescono a farlo solo con le armi che rubano ai jihadisti perché non possono ricevere nessun aiuto dall'esterno, nemmeno dal governo di Baghdad». Quello che fanno questi attivisti lo fanno a loro rischio e pericolo, come testimonia l'ultima barbara rappresaglia nei loro confronti. Secondo alcune lacunose ricostruzioni fatte trapelare dagli stessi attivisti, sei giovani ragazzi dei battaglioni per la liberazione sarebbero stati giustiziati in piazza, davanti a una nutrita folla, con una saldatrice, dopo essere stati ammanettati gli uni agli altri. Una scelta fatta apposta per incutere terrore ed evitare che altri giovani scelgano la via della resistenza.Anche le forze della coalizione puntano molto su chi si sta ribellando agli oppressori: «Chiediamo agli abitanti di Mosul di ribellarsi e uccidere quanti più soldati dell'Isis possibile» ha pubblicamente detto al Abadi. E le informazioni fatte trapelare dall'interno sono essenziali per preparare la strategia della battaglia per Mosul: «Ci possono dire dove sono le basi dell'Isis e i loro spostamenti abitudinari. - ha detto alla Reuters un comandante dei peshmerga curdi - Grazie a loro sappiamo che potremmo incontrare 20mila soldati (il Pentagono parla di massimo 5mila, ndr) che hanno già tirato su trincee e fossati e costruito tunnel per ripararsi dai bombardamenti». I battaglioni per la liberazione di Mosul sono una risorsa preziosa. E pensare che sono formati da studenti e uomini d'affari, oltre che da ex soldati. Un'opposizione locale che spaventa i jihadisti quasi più dei bombardamenti di russi e americani.