È morto il boss Bernardo Provenzano. Il padrino di Cosa nostra, pluriergastolano, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Palermo, da anni stava male ed è morto all'ospedale San Paolo di Milano.Il capo indiscusso di Cosa nostra aveva 83 anni ed ormai era fisicamente debilitato a causa di un cancro alla vescica. Diverse perizie avevano certificato il suo stato fisico e mentale precario, il progressivo decadimento cognitivo, l'impossibilità di partecipare ai numerosi processi in cui era imputato. I medici avevano certificato come il suo stato fosse incompatibile con il regime carcerario, ma era rimasto recluso al 41 bis. Nell'aprile scorso l'ultima proroga. Provenzano, da dieci anni in carcere, era stato arrestato l'11 aprile del 2006, dopo una latitanza durata 43 anni, in una masseria di Montagna dei Cavalli, nella sua Corleone. LA STORIA DEL BOSS DEI BOSS La sua latitanza durata 43 anni era finita l'11 aprile 2006. Bernardo Provenzano, detto "Binnu u tratturi", per la violenza con cui falciava i suoi nemici, corleonese, classe 1933, il capo dei capi di Cosa nostra dopo l'arresto del feroce Totò Riina, era stato preso in un misero casolare della sua Corleone. Era ricercato dal 9 maggio 1963, dopo l'ennesimo agguato della faida fra la cosca di Luciano Liggio, di cui faceva parte, e quella del dottore Michele Navarra. Una 'fugà finita nel suo paese, dentro una casa di campagna. In cella si era portato dietro 43 anni di relazioni con palazzi del potere e di misteri, anche sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. Fra il 1943 e il 1961 Corleone fu insanguinata da cinquantadue omicidi e ventidue tentati omicidi, oltre un numero imprecisabile di lupare bianche. Il 9 maggio del '63 Quella mattina di maggio, quattro sicari fra i più temuti - Giuseppe Ruffino, Calogero Bagarella, Giovanni e Bernardo Provenzano - si erano dati appuntamento in strada al sorgere dell'alba. Per ordine di Luciano Liggio avrebbero dovuto uccidere Francesco Paolo Streva, esponente del clan Navarra: "Elemento scaltro, coraggioso e vendicativo - scriveva di lui la polizia, che lo aveva proposto per il soggiorno obbligato - si sposta con due pistole alla cintola". Quella mattina, Streva riuscì a rispondere al fuoco e scampò alla morte. Fu poi ucciso il 10 settembre. Otto giorni dopo, i carabinieri denunciarono Provenzano: così il 18 settembre 1963 iniziava ufficialmente la latitanza della primula rossa di Corleone. Legato sentimentalmente a Saveria Benedetta Palazzolo, con la quale non si è mai sposato ma ha convissuto, con lei ha condiviso la latitanza, insieme ai figli Angelo e Francesco Paolo Provenzano, quest'ultimo laureato in lingue e culture moderne, vincitore di una borsa di studio del ministero dell'Istruzione, ottenenendo un posto di insegnante in Germania. Entrambi non hanno seguito le orme del padre. Il 10 dicembre 1969 'Binù partecipò alla strage di viale Lazio, dove l'obiettivo era eliminare il boss Michele Cavataio, "Il cobra", colpevole di aver messo tutte le famiglie contro e di aver fatto scoppiare la prima guerra di mafia. Provenzano uccise Cavataio spaccandogli il cranio con il calcio della mitragliatrice e poi lo finì con un colpo di pistola: dove passava "ù tratturi" - si diceva non cresceva più l'erba. Dopo la cattura di Liggio nel 1974, prese il potere del clan dei corleonesi Salvatore Riina, affiancato da Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, il quale, scatenando la seconda guerra di mafia, li portò in pochi anni alla guida di tutta Cosa nostra siciliana. Nel 1984 i Corleonesi dopo aver eliminato tutti i rivali diventarono i leader della Cupola mafiosa e Totò Riina divenne il capo dei capi di Cosa nostra. I Corleonesi furono l'unica cosca ad avere due rappresentanti nella commissione direttiva: Totò Riina e Bernardo Provenzano. Preso il potere nella commissione, il clan corleonese sviluppò una strategia aggressiva nei confronti della magistratura e dello Stato. È la stagione delle stragi: nel 1992 a Capaci fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone e in via d'Amelio Paolo Borsellino; successivamente gli attentati del 1993 a Roma, a Firenze e a Milano.Dopo la cattura di Totò Riina nel 1993, Provenzano diviene il capo dei Corleonesi e successivamente il capo assoluto della mafia siciliana, sostituendo Riina e cambiando radicalmente la strategia, portando l'organizzazione ad una rapida sommersione, facendo riconquistare ai mafiosi l'invisibilità. Nel 1995 e nel 1996 vennero arrestati rispettivamente Leoluca Bagarella rivale alla successione a capo dei capi di Cosa Nostra e Giovanni Brusca. Dopo la cattura di Leoluca Bagarella, arrestato dalla Direzione investigativa antimafia il 24 giugno 1995, Provenzano ha campo libero e comanda a modo suo. Nel 2002 si ebbe notizia che si fosse fatto operare sotto falso nome (Gaspare Troia) a Marsiglia per un cancro alla prostata, secondo alcune fonti dall'urologo Attilio Manca. In quell'occasione le forze dell'ordine riuscirono ad entrare in possesso di una foto del boss, applicata sulla finta carta d'identità. Il 24 luglio 2012 la procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Provenzano e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e "violenza o minaccia a corpo politico dello Stato", insieme a politici, ufficiali e boss, tra cui Riina. Secondo la ricostruzione fatta il primo febbraio 2010 nel processo per favoreggiamento contro Mario Mori, da Massimo Ciancimino, il boss di Cosa nostra avrebbe goduto, secono quanto raccontatogli dal padre di "una sorta di immunità territoriale" fin dal 1992, che gli consentiva di spostarsi liberamente durante la latitanza. Poi la cattura, il progressivo decadimento fisico e cognitivo e la morte a 83 anni con la quale Bernardo Provenzano porta via con sè tanti, troppi misteri.