Mitja Gialuz, avvocato e ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Genova, ha fatto parte della Commissione ministeriale coordinata da Giorgio Lattanzi, e istituita dall’ex guardasigilli Marta Cartabia per l’elaborazione, tra l’altro, degli schemi di decreto legislativo recanti modifiche in materia di indagini preliminari. Dunque proprio quella parte di riforma su cui si è concentrato il “grido di dolore delle Procure” – come ha detto l’attuale ministro Carlo Nordio in conferenza stampa – che ha comportato il rinvio dell’entrata in vigore della riforma del processo penale al 30 dicembre.

Professore, che ne pensa di questo rinvio?

Lo giudico sbagliato sul piano tecnico e potenzialmente foriero di problemi più gravi di quelli che risolve. La riforma contiene diverse disposizioni favorevoli agli imputati, sia di natura sostanziale, sia di natura processuale. L’effetto pratico del differimento sarà quello di determinare molti rinvii dei processi su richiesta degli imputati in attesa dell’entrata in vigore. Se questi rinvii non venissero concessi potrebbero sorgere dei problemi di legittimità costituzionale.

Il viceministro Sisto ha detto che sarebbe stato troppo complicato individuare solo la parte che meritava il rinvio, con i tempi così stretti.

La valutazione del viceministro è più che rispettabile ma si sarebbe potuto semplicemente scrivere una norma transitoria per disciplinare le questioni relative all’entrata in vigore delle misure sulle indagini preliminari. L’auspicio è che in sede di conversione si intervenga solo sulle disposizioni transitorie.

Il procuratore Umberto Monti ha sollevato però un’altra questione dalle pagine del Fatto Quotidiano: la riforma estende la procedibilità a querela per molti reati, anche gravi.

Si tratta di una scelta perfettamente in linea con la legge delega che era stata approvata a larghissima maggioranza, anche da forze politiche che oggi supportano il governo Meloni, Lega e Forza Italia in primis. E che va nella direzione giusta, quella di limitare in concreto il numero di processi penali, considerato che la strada della depenalizzazione non sarà praticabile, viste le prime mosse del governo. Dobbiamo capire che la macchina della giustizia è ingolfata: non ci si può lamentare dell’inefficienza e poi scagliarsi contro norme che consentono di ridurre le pendenze.

Lei auspica una sorta di self- restraint da parte del Parlamento nella fase di conversione. Però è la stessa riforma che prevede di poter fare delle modifiche dopo l’entrata in vigore.

La riforma Cartabia prevede delle modifiche correttive e integrative, nei due anni successivi all’entrata in vigore. Totalmente diversa sarebbe invece una riscrittura di alcune parti della riforma prima della sua entrata in vigore. Non vorrei si pensasse a interventi volti a ridimensionare l’ambito delle pene sostitutive o a ridurre la possibilità di accedere alla giustizia riparativa. Oppure a un indebolimento dei controlli del giudice sulle scelte del pm. La preoccupazione deriva dal fatto che è una riforma di sistema, e toccare qualche norma rischia di aprire il vaso di Pandora. Per di più si tratta di misure concordate con la Commissione europea per raggiungere quei target che l’Italia, non il governo Draghi, si è impegnata a raggiungere. Segnalo poi che i rinvii che verranno richiesti nei prossimi mesi ridurranno il numero di processi definiti nel 2022, e ciò potrà produrre effetti negativi anche nel primo semestre del 2023.

Questa riforma è stata per mesi nelle mani della Commissione ministeriale, composta, tra l’altro, da magistrati, poi è passata all’Ufficio legislativo di via Arenula, sempre composto da magistrati, dove è rimasta pure lì per mesi. Possibile che nessuno si sia accorto che mancava la norma transitoria per le indagini preliminari?

La riforma Cartabia è un cantiere molto complesso. La crisi del governo ha portato ad una accelerazione e quindi può darsi che in quei passaggi qualcosa sia sfuggito.

E però anche l’Anm, così come le Procure generali, avevano il testo, almeno in bozza, in mani da mesi. Possibile che ci si sia ricordati di sollevare il problema a pochi giorni dall’entrata in vigore? È una scelta ad orologeria?

Non credo ci sia stata una macchinazione o la volontà di sollevare il problema solo all’ultimo. Penso ci sia stata una fortissima preoccupazione, forse esagerata, da parte della magistratura, che ha colto l’enorme portata della riforma soltanto dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ( 17 ottobre, ndr). Si tratta di una manovra molto ampia che cambia il modo di lavorare, e impone a tutti gli uffici, a cominciare dalle Procure per arrivare alle Corti di Appello, un profondo ripensamento dei moduli organizzativi.

Lei prima parlava di depenalizzazioni. Invece il governo ha introdotto un nuovo reato. Che ne pensa di questo avvio in materia di giustizia?

Che è segnato da una certa contraddittorietà rispetto a quelli che erano stati i proclami del ministro della Giustizia. Nordio ha una storia di garantismo, tuttavia le prime misure illustrate da lui in conferenza stampa sono all’insegna della centralità del carcere e di una visione del diritto penale che, nel caso del nuovo reato del 434- bis, è assai preoccupante.

Perché?

Mi pare una fattispecie indeterminata, introdotta con decreto legge e scritta in una maniera piuttosto involuta, che punisce con pene draconiane chi si introduce in uno spazio privato o pubblico ‘ per organizzare’: è come se si punisse il sopralluogo. L’indeterminatezza è tanto più grave perché si incide su una delle libertà fondamentali su cui si regge la nostra democrazia, ossia la libertà di riunione. In questa fase storica occorrono più garanzie, meno carcere e più effettività delle sanzioni sostitutive e tempestività delle misure alternative al carcere.