Francesco (il nome è di fantasia) è un alunno che frequenta la terza elementare di una scuola della provincia di Cosenza. Il bambino dimostra già delle doti: parla benissimo l’inglese e ha un quoziente intellettivo superiore alla media. Allo stesso tempo è iperattivo. Una caratteristica che richiede ancora più attenzioni durante l’orario scolastico. Per questo motivo la madre di Francesco – avvocata del Foro di Cosenza - ha deciso di trasferire in un’altra classe il figlio, che, comunque, è rimasto nello stesso istituto scolastico. Una scelta concordata con il dirigente scolastico per garantire al piccolo «un riferimento in quel nuovo contesto, se si fosse sentito smarrito» e dettata dall’esigenza di garantire la migliore didattica e il migliore ambiente, gomito a gomito con i coetanei.

La vicenda di Francesco, come spesso succede, vede gli adulti protagonisti in negativo. In occasione del terzo giorno nella nuova classe, il piccolo non ha trovato nessun compagno. La decisione di non mandare a scuola i figli sarebbe stata condivisa su una chat di Whatsapp delle mamme dei nuovi compagni di classe di Francesco. Perché? La risposta viene data dalla madre di Francesco: l’assenza in massa degli alunni della terza classe sarebbe stata un gesto di protesta per l’arrivo del nuovo alunno, «preannunciato come soggetto di disturbo perché iperattivo». La classe vuota, i banchi senza penne colorate e i fogli, la mancanza del brusio allegro dei compagni sono stati uno shock per Francesco, il quale più volte ha chiesto come mai la classe fosse deserta.

Questa storia deve farci riflettere su quanto possano essere deleterie le scelte degli adulti. La mala pianta della discriminazione e della intolleranza nasce anche dai semi dell’ignoranza e dell’ottusità di chi dovrebbe educare, a partire dalle mura domestiche, all’amore, all’accoglienza e al confronto. La madre di Francesco non ha nascosto delusione e tristezza. «Sono - commenta - giorni di riflessione amara per noi genitori, per noi famiglia, per noi gruppo di consociati che viviamo in mezzo agli altri e sappiamo bene che la violenza di alcune azioni lascia segni e conseguenze indelebili, soprattutto se a subirle è un bambino di otto anni, che addirittura diventa oggetto di un dettagliato piano di isolamento ed esclusione all’interno di una chat di mamme».

Sulla vicenda è intervenuto il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Antonio Marziale, il quale ha avviato una istruttoria. Il dirigente scolastico, a sua volta, ha attivato una verifica interna, mentre il Coa di Cosenza, con il Comitato Pari opportunità, si è interrogato sulla società che noi adulti costruiamo per i cittadini di domani. «Il diritto all'educazione, all’istruzione e all'inclusione – scrive in una nota l’avvocata Maria Gagliardi del Cpo dell’Ordine degli avvocati di Cosenza - sono principi fondamentali, che dovrebbero essere rispettati, prima a casa, e poi in ogni contesto scolastico. E quanto abbiamo letto sui media è totalmente contrario a tali principi. Tutti i bambini hanno il diritto a vivere in un ambiente di apprendimento sicuro, inclusivo e rispettoso, indipendentemente dalla loro condizione o situazione personale. Senza contare, poi, che la discriminazione nei confronti di un bambino con “Bes” - non è una parolaccia, ma semplicemente l’acronimo di Bisogni educativi speciali è contraria alla legge e agli obblighi internazionali sottoscritti dall'Italia per garantire l'uguaglianza e la dignità di ogni individuo e la discriminazione di cui è stato vittima questo bambino viola i principi fondamentali di uguaglianza e inclusione, che dovrebbero essere alla base di ogni istituzione educativa».