Il Tribunale civile di Reggio Calabria ha annullato il provvedimento di fermo amministrativo adottato contro la nave umanitaria Sea Eye 4, basato esclusivamente su un rapporto farlocco inviato dalla sedicente Guardia costiera “libica” alle autorità italiane.

Un rapporto che risultava in contrasto con i fatti e con le comunicazioni oggetto di accertamento nel corso del giudizio, dai quali emergeva invece il riconoscimento anche da parte libica del corretto intervento di salvataggio operato dal comandante della Sea Eye 4 e dal suo equipaggio per salvare 84 naufraghi in acque internazionali rientranti nella zona “sar” libica.

Il Tribunale ha respinto tutte le posizioni rappresentante per conto delle autorità di governo italiane dall’Avvocatura dello Stato, rigettando preliminarmente una eccezione di inammissibilità che, se accolta, avrebbe cancellato in materia di fermi amministrativi i diritti di difesa. Come osserva il Tribunale, «la tesi dell’inammissibilità dell’autonoma impugnabilità del provvedimento di fermo per sessanta giorni dovrebbe indurre a ritenere che l’ordinamento legislativo preveda un atto della Pubblica amministrazione, immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario, non immediatamente giustiziabile in palese contrasto con l’art. 113 Costituzione». 

Secondo l’Avvocatura dello Stato, il comandante della nave avrebbe agito in violazione della Convenzione di Amburgo e della Convenzione Solas per aver operato “disattendendo” le disposizioni vigenti in materia di coordinamento e gestione delle operazioni di soccorso di competenza dell’Autorità dello Stato responsabile sull’area “sar”.

Proprio qui si registra un totale rovesciamento delle fonti normative, percepito dal Tribunale di Reggio Calabria. Sono proprio le Convenzioni internazionali richiamate dall’Avvocatura dello Stato che impongono un intervento immediato ai comandanti delle navi che abbiano a vista imbarcazioni in evidente stato di pericolo (distress), dandone comunicazione alle autorità competenti, ma senza dovere attendere alcuna sorta di autorizzazione preventiva. Che potrebbe richiedere quel lasso di tempo che in tante occasioni ha fatto la differenza tra la vita e la morte.

Il 7 marzo scorso la nave era stata minacciata dai libici, che le puntarono contro le armi. L’equipaggio non aveva consegnato loro i naufraghi soccorsi nel corso di un’operazione in cui Sea-Eye aveva salvato 84 persone in pericolo in mare. Il fermo deciso dalle autorità italiane è il più lungo mai imposto a una nave di soccorso in mare ai sensi del decreto Piantedosi, che impone alle navi di contattare il Centro italiano di coordinamento dei soccorsi immediatamente dopo un salvataggio e di attendere l’assegnazione di un porto senza rispondere a ulteriori richieste di soccorso. «La sentenza di Reggio Calabria - ha affermato Gorden Isler, presidente di Sea-Eye - è una vittoria significativa per noi, e per tutte le altre organizzazioni di salvataggio in mare! Ciò dimostra chiaramente che la detenzione di navi di salvataggio civili costituisce un abuso dei poteri statali. Ora abbiamo urgentemente bisogno del sostegno politico del governo tedesco, perchè anche l’Italia sta violando i diritti del nostro Stato di bandiera con la detenzione illegale di navi di soccorso tedesche».

Tra giugno 2023 e giugno 2024, la Sea-Eye 4 è stata detenuta in Italia per un totale di 120 giorni. La prossima udienza in tribunale per uno dei procedimenti in corso si svolgerà il 20 giugno: il caso riguarda il fermo della Alan Kurdi, avvenuta quasi quattro anni fa. La nave di salvataggio ha salvato un totale di 927 persone in pericolo in mare tra il 2018 e il 2021, e solo dopo anni si giunge a un’udienza.