Un giudice federale della California ha fermato l’amministrazione Trump, bloccando l’uso dell’Alien Enemies Act per la deportazione di migranti venezuelani nell’area di Los Angeles. La legge, risalente al 1798, consente l’espulsione di cittadini stranieri in caso di guerra o minacce gravi alla sicurezza nazionale. Ma, secondo la sentenza del giudice distrettuale John Holcomb, nominato nel 2019 dallo stesso Trump, il governo ha violato le garanzie processuali previste dalla Costituzione.

Il caso riguarda un gruppo di cittadini venezuelani accusati di far parte della gang criminale Tren de Aragua, che le autorità considerano una minaccia transnazionale. Tuttavia, Holcomb ha stabilito che le espulsioni non possono avvenire senza il rispetto di un adeguato iter giudiziario. Altri tre tribunali statunitensi hanno già bloccato deportazioni analoghe, sebbene per motivazioni differenti.

Pochi arresti...

Mentre la battaglia legale prosegue, emerge un nuovo fronte di pressione politica. Secondo Axios, in una riunione riservata avvenuta la scorsa settimana con i vertici dell’ICE, il consulente strategico Stephen Miller – già architetto delle politiche anti-migranti di Trump – avrebbe chiesto di triplicare il numero di arresti giornalieri, puntando a 3mila fermi al giorno. Con lui anche Kristi Noem, alla guida del Dipartimento per la Sicurezza Interna, che avrebbe condiviso la linea dura.

Al momento, l’ICE trattiene circa 49mila persone nei propri centri. Ad aprile 2025, le deportazioni sono state 17.200, in aumento del 29% rispetto allo stesso mese del 2024. Ma il ritmo attuale è ancora ben lontano dagli obiettivi annunciati dall’ex presidente Trump, che ha promesso “milioni di deportazioni” all’anno.

Per raggiungere il record storico del 2013 – 430mila espulsioni in un anno sotto la presidenza Obama – sarebbe necessario raddoppiare l’attuale ritmo mensile. Ecco perché, secondo fonti interne, la pressione sui funzionari ICE è destinata ad aumentare.