Per la prima volta nella storia del Messico, domenica 2 giugno si svolgeranno elezioni per eleggere direttamente oltre 2600 giudici e magistrati: tra questi, anche i nove componenti della Corte Suprema, 888 giudici federali e circa 1800 toghe statali, pari alla metà dell’intero sistema giudiziario del Paese.

Il voto arriva in seguito alla riforma costituzionale approvata lo scorso anno, negli ultimi mesi di mandato del presidente Andrés Manuel López Obrador, che ha presentato la misura come uno strumento per rendere la giustizia più democratica, rompere il sistema delle nomine e contrastare nepotismo e corruzione.

Ma la riforma ha sollevato forti preoccupazioni. Secondo numerosi osservatori e giuristi, l’elezione diretta dei giudici rischia di compromettere l’indipendenza della magistratura, rendendola vulnerabile all'influenza della politica e, soprattutto, dei cartelli del narcotraffico.

Tra i candidati in lizza, denuncia il New York Times, figurano anche persone con precedenti penali: uno ha scontato cinque anni negli Stati Uniti per traffico di droga, un altro è stato coinvolto in un caso di omicidio di un giornalista e almeno quattro risultano indagati per crimini sessuali o legati alla criminalità organizzata.

«È facile immaginare un contesto in cui la criminalità organizzata condizioni direttamente o indirettamente il voto per un giudice», ha dichiarato Amrit Singh, docente a Stanford e studiosa della riforma, sottolineando il rischio che i cartelli estendano il loro controllo anche sulla giustizia, dopo aver già infiltrato amministrazioni locali, forze dell’ordine e settori dell’economia.

Il governo, ora guidato da Claudia Sheinbaum, presidente eletta e sostenitrice della riforma di López Obrador, ha minimizzato le critiche. Sheinbaum ha definito la presenza di candidati controversi “un errore umano”. Ma il meccanismo previsto dal nuovo sistema alimenta i sospetti: le candidature sono vagliate da commissioni composte da membri dei tre poteri dello Stato, in un contesto in cui il partito di governo Morena controlla sia l’esecutivo che il Congresso.

La legge impedisce ai candidati di ricevere fondi pubblici o privati, obbligandoli a finanziare la campagna elettorale con risorse personali. Una norma nata per evitare influenze indebite, ma che finisce per favorire chi ha più disponibilità economica. Inoltre, i giudici non possono trasmettere spot televisivi o radiofonici e possono fare campagna solo tramite social e forum pubblici.

Anche il tribunale disciplinare, incaricato di controllare l’operato dei magistrati eletti, è ritenuto a rischio di interferenze politiche.

Ciò che doveva essere una riforma storica per democratizzare la giustizia rischia dunque di rivelarsi un varco per nuove forme di influenza e condizionamento, mentre il Messico resta al centro di una complessa lotta per l’autonomia delle istituzioni.