A che punto è la notte, al secolo la crisi italo- francese? Crisi che rischia di estendersi anche alla Germania, favorevole a confermare le ricollocazioni dei migranti purché l'Italia «rispetti i patti», cioè faccia sbarcare tutti i migranti salvati dalle navi Ong. Dietro le ipocrisie e le bugie di turno, che non mancano da nessuna parte, la richiesta rivolta all'Italia governata dalla destra sembra essere quella di ammainare l'ultimo vessillo “sovranista” ancora issato, dopo aver sacrificato le simpatie per Putin, le pulsioni anti Ue e la critica del rigore: la politica dell'immigrazione.

L'incidente è serio ma presenta anche un risvolto misterioso. A tutt'oggi è impossibile dire con certezza cosa ci sia all'origine di quella che si configura come una vera crisi diplomatica tra Italia e Francia. Le versioni ufficiose parlano di una massima irritazione francese per i toni trionfalistici usati da alcuni ministri italiani dopo l'accordo informale di Sharm El Sheik, in base al quale la Francia avrebbe accolto una delle quattro navi Ong e l'Italia avrebbe consentito lo sbarco dalle altre tre. Quelle dichiarazioni truculente non provenivano però dal capo del governo italiano, che ieri ha infatti ribadito a ringraziare in base a quel che riportavano le agenzie, senza essere smentite, già da 8 ore.

Il passaggio sulle agenzie è importante. È infatti anche possibile che a provocare l'irritazione di Macron non siano stati i toni molto sopra le righe di Salvini ma proprio quel “ringraziamento” di Giorgia Meloni che suonava come conferma di un accordo esplicito che Macron avrebbe invece voluto tenere nascosto. Se uno dei problemi principali per l'Eliseo è il rischio che il governo Meloni in Italia legittimi e rafforzi le posizioni di Marine Le Pen dall'altra parte del confine, mettere in piazza le trattative con la sovranista proprio sul tema nevralgico dell'immigrazione non era certo consigliabile. Ma non si può escludere neppure che nel misterioso colloquio egiziano si sia creato unequivoco esploso nei giorni successivi. Chiedersi cosa ci sia all'origine della crisi non è uno sterile esercizio di giornalismo da retroscena. Serve a capire se e come si possa uscire dalla crisi, esigenza segnalata ieri con l'abituale accortezza diplomatica da Mattarella ma di certo ben presente anche a Giorgia Meloni. La premier è stata in realtà molto attenta a calibrare le parole, come dimostra proprio il passaggio in cui, dicendo di aver appreso dalle agenzie la decisione francese, ha smentito l'esistenza di un accordo con Macron. Ma la prudenza è attestata anche dalla cura con cui l'inquilina di palazzo Chigi ha evitato di rispondere sullo stesso tono a una Francia che, al contrario, alza ogni giorno di più i decibel.

Allo stesso tempo, però, la premier di destra non vuole e forse non può arretrare sul tema di bandiera dell'immigrazione, l'ultima ridotta della promesse ringhiose della campagna elettorale. Non solo ripete i dati già forniti dal ministro degli Interni Piantedosi, che secondo lei dimostrano le buone ragioni dell'Italia, ma tra le righe allude anche a «nuove misure», che il governo starebbe in effetti preparando. In concreto regole più stringenti sui criteri della protezione, allargati dalla ministra Lamorgese dopo le precedenti restrizioni di Salvini, nuova lista dei Paesi considerati sicuri e ricerca di una strada, comunque impervia, per sequestrare o penalizzare le navi che arrivano con carichi di migranti. Negli ambienti di governo circolano poi ovunque voci, probabilmente fondate, sull'irritazione della premier nei confronti del ministro dell’Interno che, con la sua dichiarazione sul permesso di sbarcare ai “fragili”, avrebbe reso inevitabile uno sbarco di tutti che la presidente avrebbe invece voluto evitare.

Giorgia Meloni si trova insomma di fronte a un dilemma. Una crisi duratura nei rapporti con la Francia proprio ora, con in discussione le nuove regole europee e il Piano energia della Ue, è quanto di più distante dai suoi interessi e da quelli dell'Italia. Arrendersi  nella crociata contro l'immigrazione sarebbe però un grosso rischio, soprattutto con Salvini che incalza. Imboccare lo strettissimo passaggio tra questi due baratri è la sfida che attende una premier che sconta anche una notevole inesperienza. Sempre che quella porta stretta esista davvero. A questo in fondo serve chiedersi come si sia generata questa crisi: a capire se esista un margine di manovra per Giorgia Meloni o se sia destinata a misurarsi sempre e comunque con una radicale ostilità politica da parte dei paesi guida europei.