«La strage di mafia avvenuta a Foggia e le considerazioni formulate da Piero Sansonetti nel suo editoriale dovrebbero far aprire una riflessione profonda e precisa sulla quale occorrerebbe una meditazione da parte di tanti».

Non ha dubbi Calogero Mannino, esponente di spicco della Dc degli anni ’ 80 e più volte ministro della Repubblica. Mannino, da poco assolto dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato nel processo stralcio per la trattativa Stato- mafia, si prepara al giudizio d’appello. Per come fortemente voluto dalle parti civili: Comune di Firenze, Associazione vittime della strage di via Georgofoli e le Agende Rosse. Una lunghissima vicenda giudiziaria, partita negli anni ’ 90 e ancora in corso che ha segnato praticamente un’intera esistenza.

«Credo che nel corso degli ultimi trent’anni sia avvenuto quello che all’inizio è stato previsto da Sciascia e cioè la costituzione di organizzazioni antimafia all’interno delle quali la militanza civile si è trasformata in una compagnia di canto. Compagnie che hanno non denunciano la criminalità in quanto tale, ma la valutazione delle possibili implicazioni, inerenze e collusioni della politica o di segmenti di società civile. Siamo arrivati perfino al punto di fraintendere il romanzo di Sciascia, attribuendo all’autore quasi una simpatia per don Mariano ed, invece, nessun libro di sociologia o criminologia ha mai rappresentato così lucidamente la mafia nel suo contesto storico e sociale, pieno di equivoci e contraddizioni».

Ma formare ed educare le giovani generazioni è fondamentale specie negli ambienti più a rischio… Le racconto un episodio. Non molto tempo fa entro dal barbiere per portare mio nipote a tagliare i capelli. Il salone è pieno e ci sono tanti giovani che attendono il proprio turno. Due di loro sono “sotto” i due barbieri che tagliano loro i capelli per come richiesto alla Genny, con la cresta centrale. Ho fatto una domanda per capire e ho scoperto che Genny è un personaggio di Gomorra. In buona sostanza i giovani copiano comportamenti e costumi dei criminali. Mi pare evidente quindi che l’antimafia non mette in guardia la società civile, né provvede alla formazione delle coscienze all’interno dei vari gradini in cui è articolata la società. L’antimafia è solo una compagnia di canto che esercita la strumentalizzazione politica.

La ritiene una stortura degli ultimi anni?

Credo sia sempre stato così. Nessuno, per esempio, ha il coraggio di ricordare che i primi nuclei di antimafia, insieme ai loro giornalisti di riferimento, erano contro Falcone e Borsellino.

Vede anche delle responsabilità degli organi di informazione dunque...

Mi pare che il modo con cui sia stata trattata la strage di Foggia lo dimostri in modo evidente. Il giornalismo non c’è più e non si occupa dell’esistenza della criminalità. Gli omicidi in Puglia sembrano una roba da anni ’ 70 e ’ 80 in Sicilia. Eppure nessuno se ne è interessato, a dimostrare che se la mafia uccide, l’antimafia se ne infischia. Ed insieme a lei, in modo parallelo anche alcuni uffici giudiziari e un certo giornalismo. Conseguenza inevitabile di un’onda lunga che vede l’antimafia come strumento di lotta politica che ha generato processi privi di fondamento.

Si sta riferendo anche alla sua vicenda personale?

Mi limito a ricordare che tutto nasce nel momento in cui il governo Andreotti decide di azzerare l’alto commissariamento contro la mafia, comprese le sue strutture parallele. Una decisione che ha creato piccoli nuclei di riferimento per l’antimafia e un certo giornalismo. Basta incrociare i nomi di associazioni e giornalisti di due o tre riviste siciliane che hanno fatto da battistrada. Un processo privo di fondamento basato sulla dichiarazione di qualche pentito e dimenticando che sono stato il primo e il più tenace sostenitore dell’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 416 bis. Già nel 1979 mi ero fatto dare l’incarico di preparare la mozione conclusiva della Commissione antimafia Cattanei da portare all’esame del Parlamento. Evidentemente qualcosa andò storto.

Che cosa?

Dovevano entrare dei nomi nella relazione che io mi rifiutai di far entrare ed evidentemente sono diventato uno da contrastare, nonostante il mio impegno profuso nella lotta alla mafia e un lavoro che poi ha portato alla legge Rognoni- La Torre che per molti si dovrebbe chiamare legge Mannino

Sta descrivendo una strumentalizzazione politica contro di lei?

Le racconto un altro episodio. All’aeroporto di Palermo Falcone- Borsellino, sotto la scritta che intitola lo scalo ai due giudici, c’è uno striscione “io sto con Di Matteo” ( ndr: il pm del processo). Psichicamente queste baracchette me le sono trovate dentro processo. La giusta scelta di consentire nei processi contro i mafiosi la presenza delle parti civili, adesso è diventata un mestiere. Si è formata una squadra che si avvale anche di avvocati e giornalisti. Non esiste in un Paese civile che si possa condizionare un processo per la presenza di parti civili che non avrebbero neanche un titolo legale per prendervi parte. Proseguendo così si corre il rischio, come già visto nel mio processo e in quello Andreotti, che l’antimafia favorisca la mafia facendo perdere di vista i veri fatti criminali».

Come recuperare il giusto equilibrio?

Credo che la battaglia di Sansonetti sia prima di tutto una battaglia di onestà. Questi comitati antimafia con tutte le loro derivazioni e implicazioni vanno messi all’attenzione del Parlamento e della politica. Il fenomeno dovrebbe essere messo a fuoco anche dal giornalismo che dovrebbe tornare a fare giornalismo d’inchiesta e non essere solo giornalismo militante. Altrimenti continueremo ad essere sempre lontani dalle responsabilità e dalla verità e continueremo ad inseguire soltanto ombre.