Maria Giovanna Maglie, giornalista e analista di politica estera, l'America la conosce bene, ci ha vissuto e lavorato per 15 anni. Sfidando il politicamente corretto, da mesi ammoniva: attenzione Donald Trump può farcela.Possiamo dire che è stata l'unica giornalista italiana a prevedere una vittoria dell'outsider e a mettere in guardia dal fatto che più veniva ridicolizzato più non si capiva che accadeva?È proprio così. Più che prevedere la vittoria di Trump, io ho trascorso un anno e più a scrivere 4-5 articoli a settimana per Dagospia (che mi ha consentito di farlo nella più totale libertà, cosa che dubito tutti i giornali mi avrebbero garantito) per costruire la realtà della candidatura di Trump. E cioè che lungi dall'essere l'avventura folle di un tamarro, un clown, un orribile individuo, un bancarottiere populista con il parrucchino rosa, era invece una candidatura importante, rivoluzionaria, di tutto rispetto. Mi sono mano mano convinta che sarebbe stato il nominato repubblicano. E poi che una sua vittoria sarebbe stata se non probabile per lo meno possibile.Su quale elemento ha basato il suo convincimento?L'America la conosco, ma soprattutto la amo. E questo credo che sia una caratteristica della quale è carente la maggior parte degli osservatori che ci vanno con il sopracciglio alzato e la puzza sotto il naso. L'anti-americanismo è una vecchia piaga del giornalismo e dell'opinione pubblica italiani.Non solo della sinistra?Assolutamente no. Anzi c'è della destra che si definisce liberal ed è stoltamente anti-americana. E lo ha dimostrato anche in questa campagna elettorale in cui il centrodestra è andato in ordine sparso. L'America è entrata in crisi profonda. Negli 8 anni del mandato di Barack Obama, un uomo che ha portato il partito Democratico verso sinistra, su posizioni socialiste, ed è un nero, è stata realizzata una politica di aumento della spesa pubblica e delle tasse, abbastanza di rottura con la tradizione americana.Ora l'accuseranno di razzismo.Ma se uno è nero è nero non si può dire che è bianco. È evidente che quando è stato eletto un nero è stato fatto un gesto di rottura rispetto al processo di selezione di un presidente. Tanto è vero che quando è arrivata la donna quello non è più sembrato un gesto di rottura. In questi 8 anni alcuni elementi di crisi sono andati aumentando. La crisi non era soltanto economica perché da questa gli Stati Uniti si sono ripresi. Però è rimasta una devastazione del tessuto produttivo. Perché se fai una globalizzazione lasciando indietro i meno giovani, i meno acculturati lasci morti e feriti sul terreno. E questi si ribellano. Questo è accaduto alle working class americane.È stato detto che Trump si è basato sugli operai e Clinton invece sulle identità.Lei si è basata sulle identità e le classi acculturate e urbanizzate, quelle con il college degree delle città. Ed è un paradosso perché i Repubblicani erano sempre stati il partito dei ricchi e i Democratici dei poveri. I Democratici sono diventati il partito delle due punte della società: i ricchi e colti radical chic e politically correct da una parte e dall'altra i nuovi arrivati, gli immigrati ispanici. I Repubblicani invece non avevano più idea di chi fossero e chi rappresentassero. Trump ha interpretato questa crisi. L'America è stata sempre basata sul Melting Pot, ma a decidere sono sempre stati i bianchi e tutto questo si è rovesciato. La maggioranza bianca ha incominciato a sentirsi la minoranza e si è ribellata. Mentre Clinton andava nelle città a convincere i già convinti, lui era nelle campagne.Qualche difetto del neo-presidente lasciatosi andare a battute non belle sulle donne?Certo che glielo trovo. La battuta di undici anni prima era chiaramente una puttanata. Ma intanto era stata detta molti anni fa e in un contesto privato. Però questa storia del comportamento privato un po' maialesco gli americani lo hanno superato da tempo, da quando l'hanno perdonato a Bill Clinton che si faceva fare i bassi servizi sotto la scrivania dello studio ovale.