PHOTO
«Le tendenze pedocriminali, vedi incestuose di Serge Gainsbourg sono notorie e il fatto che il comune di Parigi gli dedicherà una stazione del metrò ci indigna profondamente». A scrivere queste righe non è un prelato di provincia o qualche infoiato esponente dell’estrema destra clericale, ma un gruppo di femministe francesi che ha lanciato una petizione su change.org che fin qui ha raccolto oltre 10mila adesioni. Mercoledì scorso erano la metà ed è certo che aumenteranno nelle prossime settimane.
Il progetto del municipio risale al 2016 quando sono cominciati i lavori per prolungare la linea 11 del metrò con sei nuove stazioni, una di queste, nella banlieue di Lilas, porterà il nome del celebre cantante e musicista francese che nel 1958 celebrò con una canzone quel quartiere operaio. I cantieri finiranno nel primo semestre del 2024. Nessuno pensava che una iniziativa così innocua avrebbe scatenato l’indignazione pubblica. Anche perché nel 2010 il sindaco socialista di Lilas aveva già intitolato un parco comunale all’artista scomparso nel 1991 senza che nessuno alzasse un dito.
Quel che colpisce nel testo delle petizione è la condanna di Gainsbourg sulla base dei testi delle sue canzoni, un metodo che ricorda il fanatismo tetragono degli uffici di censura di un tempo. Come successe effettivamente nel 1969 alla celeberrima Je t’aime moi non plus, sospiroso manifesto della liberazione sessuale cantato assieme alla moglie Jane Birkin che venne “scomunicato” dall’Osservatore romano per la sua lascivia, mentre la procura della repubblica di Milano ordinò il sequestro e la distruzione del disco su tutto il territorio italiano per manifesta «oscenità».
Sono passati quasi 55 anni e la storia sembra ripetersi, in farsa. Ecco alcuni tra i passaggi più disarmanti: «Nel 1984 in Lemon incest Gainsbourg canta e fa cantare il suo immaginario incestuoso alla figlia Charlotte che all’epoca aveva 12 anni». Sotto accusa anche il video in cui il cantante «è seduto sul letto accanto alla figlia in maglietta e mutande».
Un’altra canzone degli anni 80 Love on the beat che Gainsbourg definì ironicamente «poema pornografico», è finita nel mirino della petizione: «Nel brano si sentono sullo sfondo grida e gemiti femminili, quelli della sua compagna Caroline Paulus che sarebbero stati registrati a sua insaputa». Sarebbero. Per le firmatarie inoltre la «distinzione tra uomo e artista» è uno stratagemma utilizzato dai «difensori del sistema patriarcale». Al setaccio anche le sue tante apparizioni televisive e le dichiarazioni radiofoniche: «Nel 1986 disse a France Inter: “Pratico la politica della donna bruciata, ho bruciato tutte le donne che ho amato».
È possibile che una frase del genere venga interpretata in senso letterale? Gainsourg, da sempre ruvido provocatore e a fine carriera intemperante alcolista, non è mai stato denunciato da nessuno per i suoi comportamenti, non è mai finito neanche a titolo postumo nel frullatore del Metoo. L’ex moglie Jane Birkin racconta tuttavia in un libro, Munkey Diaries, pubblicato nel 2018 le continue e violente liti con il cantante, una vita di coppia turbolenta in cui volavano schiaffi e insulti, passaggi citati ampiamente dalla petizione che però rimuove le pagine che contraddicono l’accusa. Come quando la stesa Birkin afferma di aver spento una sigaretta sul volto del marito ammettendo di aver contribuito anche lei al clima tossico che li portò alla separazione.