Si potrebbe dire che in fondo ciascuno vede le carceri dall’angolo visuale della sua cultura di appartenenza. Prendiamo i magistrati, visto che l’idea garantista di giurisdizione propria degli avvocati è ben nota. Prendiamo non solo l’Anm, ma una sua componente, “Area”, notoriamente progressista. Nell’avvertire il guardasigilli Alfonso Bonafede che «il rischio coronavirus nei penitenziari è altissimo», ricorda che a dover essere tutelati sono «i detenuti e tutti quelli che per loro lavorano». Ecco. Visto che parlare dei diritti dei reclusi forse non basta a commuovere i cittadini, ben venga chi punta sui lavoratori. Rischiano pure loro. Anche dentro le carceri. Proprio la pluralità di sguardi sul carcere emerge anche nel question time di ieri a Montecitorio. Bonafede vi contribuisce con un dato terrificante: dall’entrata in vigore del Dl Cura Italia - che prevede una concessione dei domiciliari “accelerata” a chi potrebbe uscire comunque, ma (se la pena residua supera i 6 mesi) solo se è disponibile il “braccialetto” - hanno fisicamente lasciato la galera appena «200 persone». Cioè: solo 200 sui circa 10mila detenuti in più rispetto alla capienza totale del sistema penitenziario nazionale. Basterebbe per chiudere la partita e dire: il guardsigilli scherza col fuoco. C’è chi lo fa: Vittorio Sgarbi. Lo chiama «untore». Lei, urla al ministro con la solita proverbiale verve, «per la sua responsabilità giuridica e morale dovrebbe essere indagato!». C’è anche chi lo fa indirettamente: l’alto commissario Onu per i Diritti umani Michelle Bachelet. Che ricorda a propria volta come il covid-19 possa essere «devastante» per i detenuti, e che bisognerebbe liberare i reclusi più «vulnerabili al virus», come «anziani e malati», ma anche «i non pericolosi». Cosa che il decreto Cura Italia favorisce solo in minima parte. Il punto è il pluralismo di cui sopra. Perché all’invettiva di Sgarbi e al monito dell’Onu, e alle obiezioni persino del Csm, fa da contappunto l’incredibile voce contraria del leghista Jacopo Morrone, ex sottosegretario alla Giustizia, che parla di «svuotacarceri mascherato» e di «stupratori e truffatori che potranno tornare liberi e darsi alla fuga». È la media dei due estremi che assolve Bonafede. Neppure il dem Walter Verini lo scalfisce: «Ci sono 10mila reclusi in più e al tempo del coronavirus il sistema penitenziario rischia di diventare una bomba sanitaria». Il Pd chiede «misure per ridurre la pressione» negli istituti - e qui è Alfredo Bazoli a parlare - e di farlo in fretta perché in galera «non è possibile far rispettare la distanza necessaria». Ci provano anche i due deputati di Italia viva intervenuti, Lucia Annibali e Gennaro Migliore. Proprio i due parlamentari del partito di Matteo Renzi, che pure ha personalmente incalzato il guardasigilli sull’allarme penitenziario, hanno il merito di ricordare come «l’Unione Camere penali, caro ministro» sia in realtà «la prima a interrogarla da giorni» e che «tutti gli avvocati penalisti esprimono critiche, e lo fanno anche il Csm e i radicali di Rita Bernardini». Ebbene, le domande rivolte a Bonafede e al Dap dagli avvocati sono specifiche e semplici: l’Ucpi chiede di sapere quanti detenuti potranno beneficiare delle nuove (si fa per dire) misure, quanti braccialetti sono disponibili, quanti casi di reclusi positivi già si contano e cosa pensa di fare il capo del Dap (che Italia viva chiede di rimuovere) per consentire l’eventuale isolamento dei contagiati. Bonafede offre all’aula e alla diretta su Rai 3 risposte in parte terribili: innanzitutto quei soli 200 finiti ai domiciliari in virtù delle norme acceleratorie del “Cura Italia, dei quali - per giunta - solo 50 col braccialetto elettronico e altri 150 già titolari di licenza per lavoro esterno, autorizzati ora a dormire a casa per evitare che si portino il covid in galera. I contagiati «sono 15, isolati o ricoverati», assicura Bonafede. Gli aventi diritto a uscire più in fretta sono in tutto 6.000, ma «i braccialetti disponibili, al 15 maggio, saranno 2.600». Bisognerebbe sapere quanti sono i reclusi con pena residua inferiore ai 6 mesi, per i quali il dispositivo non è necessario, il dato però non arriva. Ci si dovrebbe rallegrare per il trend in calo riguardo alle presenze: «Da fine febbraio ad oggi siamo scesi da 61.235 a 58.592 detenuti». Morale della favola: non c’è alcuno svuotacarceri, quel poco introdotto dal “Cura Italia” non consentirà di scarcerare che pochissime migliaia di persone. C’è solo, forse, qualche reato in meno, e qualche giudice pietoso che si mette una mano sulla coscienza e deposita la sentenza in ritardo per evitare di ingolfare il lazzaretto.