Pare che soffi un brutto vento dall’Aia per il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dove, secondo notizie di stampa, la International Criminal Court (Icc) starebbe valutando un’incriminazione per il contestato leader israeliano, come anticipato in queste pagine il 29 aprile.

In effetti, entrando nel sito della Icc, si scopre che tra le 12 investigazioni in corso (a cui se ne aggiungono altre 3 preliminari), ve ne è una che riguarda la Palestina (ossia Gaza e la West Bank, ovvero la Cisgiordania, che include Gerusalemme est), ufficializzata il 3 marzo 2021, per fatti accaduti fin dal 13 giugno 2014.

Leggendo la sintesi della investigazione si scopre che a partire dal 2015 la Palestina, pur non essendo formalmente uno Stato sovrano (ha il ruolo di osservatore presso l’Onu), ha aderito allo Statuto di Roma, che ha creato la Corte Penale Internazionale (cioè la Icc), e dopo 5 anni di indagini preliminari, il Tribunale dell’Aia ha avviato l’indagine, visto che c’erano le condizioni, ed è così cominciata presso la Chamber I la procedura di Pre-Trial, ossia quella che precede il processo vero e proprio.

Questa procedura, cominciata nel 2020, ha avuto un’accelerazione il 17 novembre 2023, quando Sudafrica, Bangladesh, Bolivia, Comoros, e Djibouti hanno inviato al procuratore Karim A.A. Khan un “referral”, in cui hanno segnalato una serie di ipotesi di reati che hanno avuto luogo a Gaza e Cisgiordania all’indomani dell’attacco di Israele, che vanno dall’appropriazione e distruzione di proprietà private e pubbliche, al trasferimento forzoso di massa dei Palestinesi, sottoposti a condizioni di vita disumane, passando per omicidi, uso eccessivo della forza, e perfino tortura e trattamenti disumani dei civili, per concludere con la violazione sistematica dei diritti umani, con forme di apartheid in Cisgiordania, per effetto del comportamento dei coloni israeliani.

A questa denuncia si è aggiunta quella di Cile e Messico, presentata il 18 gennaio 2024, a cui si aggiungerà con probabilità quella della Turchia, come riferisce una nota di Bloomberg del 1° maggio.

Insomma c’è aria pesante dalle parti di Gerusalemme, e non costituisce quindi una sorpresa che il giornale israeliano Haaretz abbia pubblicato il primo maggio un articolo, a firma di Anshel Pfeffer, in cui si conferma l’ipotesi di un mandato di arresto internazionale (lo stesso tipo emesso per Putin) nei confronti di Netanyahu, del Ministro della Difesa, Yoav Gallant, e del Capo delle Forze armate, il generale Herzl Halevi, che viene giudicata da alcune fonti del National Security Council israeliano, secondo quanto scrive il giornalista, “molto seria”.

Sebbene sia noto che Israele non abbia sottoscritto lo Statuto di Roma, con la conseguenza che si può astenere dal dar seguito al mandato di arresto (così come è avvenuto in Russia con Putin), non c’è dubbio che l’agilità politica a livello internazionale del leader del governo israeliano verrebbe fortemente menomata, non potendo recarsi in quasi tutta Europa, America latina, Africa, e in qualche paese asiatico, come il Giappone, in quanto sarebbe arrestato (ma potrebbe andare negli Usa, che non ha firmato l’accordo).

Il giornalista di Haaretz accenna addirittura a “un’atmosfera di panico” presso il Ministero degli esteri di Tel Aviv, per non parlare dell’agitazione che si percepisce presso l’ufficio del Primo ministro, dove, secondo le fonti del quotidiano israeliano, questa vicenda ha costituito la priorità assoluta negli ultimi giorni, perfino più dell’operazione conclusiva della guerra, ossia l’invasione di Rafah, e dell’accordo per la liberazione degli ostaggi.

Che l’ipotesi di richiesta di arresto sia credibile lo ha confermato lo stesso Netanyahu, che è intervenuto prima il 26 aprile per affermare che “Israele non accetterà mai il tentativo dell’Icc di minare il diritto fondamentale del suo paese di difendersi”, e poi il 30 aprile, con un videomessaggio, in cui ha dichiarato che “l’Icc sta contemplando di emanare mandati di arresto contro le principali figure del governo israeliano e delle sue forze armate, come criminali di guerra, [circostanza che] sarebbe un oltraggio di proporzioni storiche”.

Secondo il giornalista Pfeffer, al di là dell’effettiva emanazione (o meno) del mandato di arresto, non c’è dubbio che questa ipotesi costituisca per il capo del governo israeliano e il suo entourage un motivo per essere più cauti nei prossimi tempi, circostanza utile soprattutto all’Amministrazione Biden, che ben presto ha iniziato con le autorità israeliane una sorta di gioco della carota (gli aiuti militari) e del bastone (l’ipotesi di sanzioni contro i militari e i poliziotti israeliani che risultassero colpevoli di violazione dei diritti umani, come prevede la legge americana Leahy Law), con le quali i rapporti hanno iniziato a deteriorarsi, prima per l’accusa di “reazione eccessiva”, e poi per la condanna dovuta all’uccisione di 7 cooperanti della Ong World Central Kitchen.

In conclusione, tra opposizione interna, e crescenti problematiche esterne, anche di natura legale, il Primo ministro israeliano si muoverà nei prossimi tempi in un terreno minato.