La sconfitta della milizia libica che controllava la città costiera della Libia di Sabratha, punto nevralgico dei flussi migratori verso l’Europa, e ciò procurerà conseguenze gravi sulle condizioni, già precarie, di migliaia di migranti presenti nei centri di detenzione della città. Parliamo della milizia dei Dabbashi, una delle più potenti della città, e l’Italia su indicazione del governo ufficiale la considerava un punto di riferimento.

La milizia era conosciuta – come riporta l’agenzia Reuters – per aver fatto affari con il traffico degli immigrati. Dopodiché avrebbe siglato un accordo con l’Italia per fermare le imbarcazioni che si affacciano il Mediterraneo. Fu il quotidiano francese Le Monde, il 14 settembre scorso, a mettere in grande evidenza, con un titolo di prima pagina, le accuse secondo cui il ministro dell’Interno, Marco Minniti, avrebbe trattato con i trafficanti libici per bloccare i flussi di migranti.

Accuse che comunque il nostro governo ha respinto, compreso il premier libico Serraj che, intervistato nei giorni scorsi sempre da Le Monde, ha smentito l’esistenza di un presunto ' accordo segreto' tra l’Italia e i trafficanti per fermare gli sbarchi. Alla domanda su un ipotetico patto segreto tra il governo italiano e una milizia di trafficanti a Sabratha il premier libico rispose: «C’è un accordo con l’Italia per aiutare le municipalità libiche del nord e del sud a sviluppare l’economia e creare occupazione. Ma non c’è un accordo del tipo di quello di cui parlate, vale a dire sostenere un gruppo armato».

Resta il fatto oggettivo che ora a controllare i centri di detenzione per immigrati in Libia c’è una milizia che si chiama “Shuhada al Wadi”. La situazione, quindi, si è aggravata. Durante gli scontri, circa 4000 migranti che venivano tenuti in numerosi centri di detenzione a Sabratha sono stati trasferiti in un hangar della zona di Dahman della stessa città costiera libica situata circa 80 km a ovest di Tripoli. A riferirlo è stato l’Unsmil, la missione dell’Onu di supporto in Libia. Un hangar, riferisce sempre l’agenzia dell’Onu, che «non ha servizi, c’è un urgente bisogno di assistenza di base, tra cui cibo, acqua, generi di prima necessità e assistenza medica».

Ufficialmente sono 29 i centri di detenzione per immigrati sparsi in Libia. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ne sta monitorando 27 di quelli ufficiali gestiti dal dipartimento di contrasto dell’immigrazione irregolare del governo di Al Serraj, ma assicura che nel paese ci sono decine di centri che sono sotto il controllo diretto delle milizie e dei trafficanti di esseri umani. Secondo alcune stime, le persone detenute nei centri sono seimila, di cui 5.500 nell’ovest e nel sud del paese e 500 nella parte est. In tutto, secondo l’Unhcr, ci sono 42.834 rifugiati registrati, per lo più arrivati in Libia molti anni fa, mentre circa settemila fanno parte dell’ultima ondata di profughi. Ma ogni giorno apre un centro e ne chiude un altro, rendendo ingestibile l’osservazione da parte dei funzionari dell’Onu. Il quadro delle condizioni dei centri è stato più volte denunciato sia dall’Onu che dalle organizzazioni non governative come Medici senza frontiere: assenza di cure mediche, servizi igienici e privacy, sovraffollamento e detenzione prolungata. Lo staff di Medici senza frontiere visita circa 1300 detenuti al mese ( nei centri accessibili) e parla di «disponibilità quotidiana d’acqua in quantità minima per bere o lavarsi, correnti interruzioni di corrente elettrica, cure mediche permesse in un ambiente altamente militarizzato e non sempre in piena libertà».