Bombardamenti incessanti dall'aria e combattimenti a terra che sia media che tutti i testimoni definiscono «feroci». Questa la realtà di un'offensiva che ormai è definitivamente entrata nella sua fase ultima: il tentativo di entrare nella città per distruggere le forze di Hamas. Probabilmente è stato sempre questo l'obiettivo dello stato ebraico all'indomani del massacro del 7 ottobre, un fine a volte dichiarato a volte dissimulato dal linguaggio militare.

Il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ha affermato che il bilancio delle persone uccise dall'inizio dei bombardamenti ha superato le 9mila vittime, tra di esse almeno un terzo sono bambini. L'esercito israeliano sta prendendo di mira le infrastrutture di Hamas compresi i tunnel da dove escono i miliziani islamici armati di lanciarazzi per colpire i tank dell'IDF. La cronaca dal punto di vista militare fa registrare cinque battaglie principali divampate soprattutto nella nottata di ieri. Sono i punti attraverso i quali l'esercito israeliano sta tentando di circondare Gaza ed entrare. Difficile avere un bilancio dei caduti di entrambe le parti, secondo lo stato ebraico sarebbero dozzine i militanti di Hamas e della Jihad islamica uccisi in seguito allo sfondamento di alcune linee di resistenza. L'esercito israeliano invece ha dichiarato di aver perso il comandante del suo 53° battaglione nei combattimenti, portando a 18 il numero totale di soldati uccisi da quando ha intensificato il suo raid di terra. Si ritiene che il comandante, il tenente colonnello Salman Habaka, sia il più alto ufficiale israeliano ucciso dall'inizio delle operazioni.

Ma la giornata è stata caratterizzata da un avvenimento che si presta a diverse interpretazioni. Il valico di Rafah, al confine con l'Egitto, è stato aperto due giorni fa e il flusso dei profughi comincia a delinearsi. Si tratta di palestinesi feriti e dei loro accompagnatori e soprattutto di cittadini stranieri o con doppio passaporto. L'Onu ha comunicato che più di 400 persone hanno utilizzato il valico per la prima volta da quando è scoppiata la guerra ma si prevede un esodo più massiccio man mano che passeranno le ore.

Le liste di coloro che sono autorizzati ad attraversare il confine saranno concordate di volta in volta tra Egitto e Israele, con le ambasciate dei paesi interessati che saranno informate in anticipo. Complessivamente le persone con doppia cittadinanza che vivono a Gaza sono circa 7mila. L'apertura del valico è stata possibile grazie all'intenso lavoro diplomatico degli Stati Uniti che sostengono massicciamente Israele ma nello stesso tempo esercitano una pressione affinché non non si aggravi ulteriormente la condizione dei civili.

Saranno probabilmente proprio gli americani ad uscire tra i primi come parte di un gruppo di un migliaio di persone. Joe Biden ha annunciato in conferenza stampa: «Stiamo lavorando senza sosta per far uscire gli americani da Gaza il prima possibile e nel modo più sicuro possibile». Non esistendo un criterio di precedenza nella composizione delle liste i paesi con più influenza stanno spingendo per ottenere la fuoriuscita dei propri cittadini e per questo gli Usa sono i primi. Ad esempio non è lo stesso per alcuni russi che per i buoni rapporti tra Mosca e Hamas hanno facilità a fuggire da Gaza ma poi si trovano in coda alla frontiera.

Chi invece ha un'ovvia precedenza sono i pazienti evacuati dagli ospedali della città (un terzo ha smesso di funzionare per mancanza di carburante o per i danni subiti). La maggior parte sarà portata in un ospedale da campo costruito dalle autorità egiziane a Sheikh Zuweid, a 15 km da Rafah. Altri andranno nella vicina città di El-Arish o a Ismailia. Il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha accolto con favore la decisione dell'Egitto di accettare le evacuazioni mediche, ma ha avvertito: «L'attenzione non deve essere distolta dai bisogni molto più grandi di migliaia di pazienti a Gaza, molti dei quali estremamente fragili che non possono essere spostati».

Intanto domani parlerà Nasrallah, il leader di Hezbollah, un discorso rivolto ai suoi miliziani che preoccupa non poco Israele e i suoi alleati e che potrebbe aprire un altro, devastante fronte di guerra a nord.