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Questa immagine fornita da Maxar Technologies mostra una fila di tende costruite vicino a Rafah a Gaza il 23 aprile 2024
L'esercito israeliano si sta preparando all'offensiva nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. La Brigata Nahal è stata ritirata per concentrarsi con il resto della 162esima divisione sull'operazione ormai definita come imminente, nonostante sia osteggiata da tutti i Paesi alleati di Israele. Decine di carri armati e veicoli blindati sono stati ammassati vicino al valico israeliano di Kerem Shalom, al confine con il sud dell'enclave palestinese, a pochi chilometri da Rafah.
Sulla cittadina al confine con l'Egitto, da cui sono scappati già tra i 150 e i 200mila sfollati, nel frattempo, continuano a piovere le bombe che, nella notte tra mercoledì e giovedì, hanno ucciso almeno 7 persone, tra cui un operatore umanitario belga, Abdallah Nabhan, e suo figlio Jamal di 7 anni. Un alto funzionario statunitense ha reso noto che Israele ha accettato il ritorno dei civili sfollati verso il nord della Striscia anche se la misura potrebbe richiedere settimane di tempo.
Bozza di accordo presentata dall’Egitto
L'Egitto ha presentato una bozza di accordo a Tel Aviv con la proposta di congelare l'attacco a Rafah in cambio dell'avvio di nuovi negoziati con Hamas, che, dal canto suo, accetterebbe un cessate il fuoco completo di almeno un anno. Parlando con Associated Press, l'alto funzionario politico del gruppo palestinese, Khalil al-Hayya, ha detto che Hamas sarebbe disposto a deporre le armi e a dissolvere la propria ala militare se verrà istituito uno Stato palestinese indipendente lungo i confini precedenti al 1967.
Al-Hayya ha aggiunto che Hamas vuole unirsi all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), guidata dalla fazione rivale Fatah, per formare un governo di coalizione per Gaza e la Cisgiordania. Il funzionario ha infine sottolineato che l'operazione militare israeliana sta fallendo: "Non hanno distrutto più del 20% delle capacità di Hamas, né umane né sul campo". Intanto, 18 Paesi, tra cui Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, Francia e Germania, hanno firmato un appello per chiedere il rilascio immediato di tutti gli ostaggi, mentre quegli stessi Paesi sono impegnati a tenere sotto controllo le manifestazioni pro-Palestina esplose in vari atenei.