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«Gli avvocati pakistani lottano per la democrazia e la Costituzione, per questo sono un target per i terroristi», a dirlo senza mezzi termini è Abdul Fayaz, il presidente della Pakistan Bar Association. L'avvocato è intervenuto insieme al collega Bashir Kahn, avvocato presso la Peshawar High court e la Federal Sharai court, al convegno "Libertà... è una parola", organizzato dalla Commissione Diritti Umani del Consiglio Nazionale Forense. «Essere avvocati in Pakistan significa rischiare la vita ogni giorno, come è successo ai nostri colleghi nel terribile attacco terroristico di Quetta dell'8 agosto, durante il quale un kamikaze si è fatto esplodere in un ospedale uccidendo oltre 60 persone tra avvocati e giornalisti», ha raccontato Fayaz. Un attentato, quello rivendicato dall'Isis a Quetta, che ha evidenziato il clima di lotta nel Paese: nell'ospedale, infatti, era appena stato portato un noto avvocato ferito a morte in un agguato, e dopo il kamikaze ha fatto strage dei suoi colleghi, aspettando che arrivassero lì per chiedere notizie. «Quella dei nostri colleghi pakistani è una testimonianza dura da ascoltare, a partire dai numeri: 3500 avvocati sono stati uccisi in 10 anni nel loro paese. Ci insegnano che cosa significa fare gli avvocati, anche a costo della propria vita», ha ricordato Francesco Caia, coordinatore della Commissione diritti umani del Cnf. «Il nostro paese ha una Costituzione, ma nella vita di tutti i giorni la garanzia dei diritti è molto difficile. Penso soprattutto ai diritti delle donne, che lo Stato non è in grado di proteggere da abusi, attacchi con l'acido e dalla terribile pratica dell'omicidio d'onore», ha spiegato l'avvocato, secondo il quale sono ancora centinaia i delitti d'onore commessi nel paese, in cui gli assassini sono padri, fratelli e mariti. «Le leggi ci sono, ma è difficilissimo applicarle». Allo stesso modo, anche il diritto ad un giusto processo è in molti casi violato: «quando qualcuno viene arrestato, in Pakistan, la polizia non rispetta i diritti civili e spesso ricorre a torture e violenze». L'avvocato Kahn ha portato anche una sua diretta testimonianza: «due anni fa gli agenti di sicurezza hanno fatto irruzione a casa mia e sono riuscito a fuggire prima che mi arrestassero. Era un periodo di grande tensione politica: il ministro per la Giustizia era appena stato rimosso dall'incarico e noi avvocati ci battevamo perchè la democrazia venisse rispettata e lui tornasse al suo posto». All'evento ha preso parte anche Carlo Parisi, segretario della Federazione Nazionale Stampa Italiana e i due ospiti pakistani hanno raccontato anche le precarie condizioni dei giornalisti che lavorano nel paese: «la libertà di stampa è garantita, ma spesso i media si autocensurano sui fatti che riguardano il governo e gli attentati terroristici, per evitare ritorsioni». Proprio a questo proposito, il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha sottolineato come «la libertà di stampa e il diritto alla difesa, e quindi giornalisti e avvocati, sono i primi professionisti ad essere attaccati nelle situazioni di conflitto, perchè ridurli al silenzio significa uccidere la libertà». A testimoniare la vicinanza ai colleghi pakistani da parte dei consigli nazionali degli ordini degli avvocati, all'evento sono intervenuti anche Richard Sédillot, del Consiglio nazionale degli avvocati francese; Jacques Bouyssou, segretario dell'ordine degli avvocati di Parigi e Maria Eugenia Gay Rosell, del Consiglio nazionale dell'avvocatura spagnola.