Ieri il ministro Nordio, illustrando le sue linee programmatiche alla Commissione Giustizia della Camera, ha voluto, anche in base alla lettura dei giornali, chiarire e rafforzare alcune sue idee. In primis quella sulla separazione delle carriere: «Qualcuno ha detto che mi sono scatenato contro i pubblici ministeri, ma figuriamoci se uno che ha fatto il pm per 40 anni può scatenarsi contro i suoi colleghi. Potete immaginare che io possa volere una soggezione del pm al potere esecutivo? È quasi una offesa personale nei miei confronti». Sostenere che il pm sarebbe sotto il controllo dell’Esecutivo «è un trucco verbale, come direbbero i sofisti, per evitare un problema» .

Abbiamo raccolto sul tema il parere di alcuni magistrati ed avvocati. Stefano Celli, pubblico ministero ed esponente di Magistratura Democratica, ci ha detto: «Non ho mai compreso la passione dei garantisti per la separazione delle carriere. I primi a rimetterci dall’esclusione del pubblico ministero dalla giurisdizione saranno gli imputati, specie quelli meno attrezzati, che si tratti di corazza economica o di potere. Il pm poliziotto, “l’avvocato dell’accusa” verrà misurato sulle condanne ottenute e farà di tutto per averne, privilegiando i processi facili e dall’esito semi scontato. È un bene per le garanzie e i diritti degli imputati e delle persone offese?» si chiede Celli che prosegue: «C’è un giudice che subisce il fascino del collega pm anziano? Ci sarà, come ci sarà un avvocato che subisce il fascino del collega anziano di parte civile e magari non esercita bene il mandato. Quindi che si fa, aboliamo la funzione difensiva? O istituiamo un ruolo di difensori di parte civile che non possono difendere gli imputati ( e viceversa)?». E conclude: «L’unica separazione che potrei comprendere è quella fra i giudici di primo e quelli di secondo grado, perché se il problema è il fatto di essere colleghi, mi pare che resterebbero tali i giudici di secondo grado che, nell’assurdo assunto dei “separatori”, sarebbero portati a confermare le condanne sol perché emesse dai colleghi di primo grado».

Per Egle Pilla, presidente AreaDg, «la Costituzione stabilisce che la magistratura è autonoma e indipendente ed è soggetta soltanto alla legge. E i magistrati si distinguono tra loro soltanto per funzioni. La separazione delle carriere rischia di porre in crisi uno dei capisaldi del modello costituzionale del magistrato. Un pubblico ministero separato dalla giurisdizione è un magistrato controllabile e influenzabile. Separare le due funzioni determinerebbe nel tempo una perdita di sensibilità da parte del pubblico ministero in relazione al rispetto delle garanzie da cui deriverebbe un serio danno per l’intera collettività. Chi chiede la separazione delle carriere vorrebbe imporre all’inizio della carriera una scelta radicale e definitiva tra una funzione e l’altra. In realtà già oggi le funzioni sono di fatto separate, e lo sono di più a partire dalla riforma Castelli del 2006, che ha reso il passaggio dal ruolo di pm a quello di giudice e viceversa, molto complesso; siffatta separazione di fatto è resa ancor più evidente dagli intenti riformatori della “Cartabia” sullo specifico tema».

Invece per Giovanna Ollà, coordinatrice della Commissione diritto penale del Cnf, «le dichiarazioni di Nordio rappresentano un sogno per gli avvocati penalisti per quanto riguarda le prospettive di garanzia e l’affermazione di uno Stato liberale e di Diritto. Ora vogliamo vedere la trasformazione delle linee programmatiche in un assetto normativo. Il tema più dolente della separazione delle carriere è sempre rimasto incompiuto: la sfida ora è politica, altre volte se ne è parlato, ci sono state aperture ma poi tutto si è arenato».

Soddisfatto delle parole di Nordio Beniamino Migliucci, presidente dell’Ucpi quando vennero raccolte le oltre 70mila firme per la proposta di legge di iniziativa popolare per la separazione delle carriere depositata poi in Parlamento: «Considerate le linee programmatiche di chiara ispirazione liberale del ministro Nordio è naturale il riferimento alla separazione delle carriere e dunque alla terzietà del giudice. In un sistema accusatorio il giudice non può essere che distinto da chi accusa e da chi difende. Non vi è più alcuna ragione seria per opporsi ad una riforma ineludibile». Nordio poi ieri ha fatto cenno alla cultura della giurisdizione: essa «è vuota metafisica dell'intelletto. Può essere tutto o niente. O è ius dicere o è dialettica processuale, come io credo. È un tavolo a tre gambe con pari dignità tra giudice, pm e avvocato».

Su questo, dice Migliucci, «il richiamo, da parte dei detrattori della riforma, alla cosiddetta cultura della giurisdizione che, tra l’altro, comprenderebbe solo pm e giudici, è totalmente vuoto e privo di significato e serve solo per giustificare il mantenimento dell’unità delle carriere tra pm e giudici che corrisponde ad un modello autoritario ed inquisitorio, dove magistrati dell’accusa e giudici intendono il processo come lotta a questo o quel fenomeno criminale. Il buon senso indica che il controllore (il giudice) non può essere collega del controllato e ha ragione Nordio nel dire che nessuno immagina di porre il pm sotto l’Esecutivo. In tal senso la nostra proposta di legge non prevede nulla del genere ma esclusivamente carriere separate, anche perché la carriera e la disciplina del giudice non possono dipendere dai pm».