di Caterina Flick* L’emergenza per il coronavirus, e le misure restrittive adottate dal governo, stanno stravolgendo le abitudini di tutti noi. Ci ritroviamo chiusi tra le mura domestiche, con contatti fisici interdetti, obbligati ad accelerare la transizione al digitale. Ne consegue, da un lato, la ricerca di aggiornamenti immediati, ovunque si trovino in rete; dall’altro l’utilizzo di sistemi di messaggistica istantanea e social network, sui quali sono veicolate allo stesso modo e con la stessa velocità messaggi scritti, audio, video contenenti informazioni, senza distinzione di fonti e senza curarsi (o curandosi poco) di verificarle. In questo modo informazioni vere e false “rimbalzano” di chat in chat, seguite da smentite e avvertimenti di non dare credito alle notizie circolate qualche minuto prima. Il timore delle persone, chiuse fra quattro mura, è facilmente sfruttato per confezionare bufale che, nella migliore delle ipotesi, sono di dubbio gusto; è questo il caso di comunicazioni che suggeriscono rimedi preventivi e cure miracolose, come l’assunzione di aglio o di bevande calde, o paventano fantasiosi metodi di contagio. In alcuni casi notizie apparentemente avallate da fonti giornalistiche o altre fonti ufficiali si sono rivelate false, tanto da portare a denunce per procurato allarme. In altri casi ci si trova di fronte a tentativi di truffa e attacchi informatici che “infettano” smartphone e altri dispositivi. Di certo la diffusione della disinformazione preoccupa, tanto che pochi giorni fa l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha puntato il dito sulla disinformazione che circola in tutto il mondo, ricordando che fare disinformazione in questo ambito significa giocare con la vita delle persone. Sul fronte interno l’annuncio del Copasir circa l’esistenza di una campagna di disinformazione a danno dell’Italia ha portato il sottosegretario all’Editoria Andrea Martella a proporre la creazione di una task force dedicata al contrasto delle fake news. Va detto che il meccanismo delle fake news è stato agevolato – almeno inizialmente – dal sistema adottato dalle istituzioni di offrire comunicazioni istantanee, dirette alla pancia dei cittadini, attraverso social network, tweet, comunicati che precedevano – anziché seguire – l’adozione dei provvedimenti; nel lasso di tempo tra la prima comunicazione e la pubblicazione del testo ufficiale di ogni provvedimento, le chat whatsapp di tutti gli italiani si sono riempite di bozze, controbozze, affermazioni, smentite, commenti, critiche. Alla confusione hanno contribuito anche alcune testate giornalistiche e produttori di notizie che, specie nella fase iniziale dell’epidemia, hanno concorso alla diffusione di notizie contraddittorie, basate sul pathos più che su informazioni concrete. Media e organi istituzionali, mai come in questo momento, hanno un compito fondamentale nel divulgare informazioni che possano aiutare i cittadini a comprendere la situazione e le ragioni dei provvedimenti assunti, non potendo – né gli uni né gli altri – prevedere il futuro. I primi attraverso fact checking approfonditi, i secondi con la scelta di canali consoni, entrambi affidandosi ad un linguaggio chiaro e pacato. Ai tempi del coronavirus le fake news sono esse stesse un virus da cui guardarsi; la cura è un’informazione seria e completa da parte delle istituzioni e degli organi di informazione, tenendo presente che ne va della loro reputazione. *avvocata, docente di Informatica giuridica e Sistemi giuridici dei Big data presso Università internazionale telematica Uninettuno