Gli omicidi mirati sono quasi una costante nella storia di Israele. Ma il senso e lo scopo delle operazioni è variato nel corso del tempo: l'uccisione di Ismail Hanyeh obbliga a interrogarsi sul reale obiettivo del governo Netanyahu.

I primi targeted killings risalgono agli anni '50: presero di mira gli ufficiali egiziani che arruolavano profughi palestinesi per colpire Israele, poi negli anni '60 gli scienziati tedeschi che collaboravano al piano segreto di costruzione di missili radioattivi dell'Egitto. I palestinesi entrarono nel mirino a partire dal 1972, in seguito alla campagna di dirottamenti, attentati e stragi decisa dalle organizzazioni palestinesi dopo la sconfitta nella guerra dei 6 giorni e l'occupazione della Cisgiordania. Il primo a essere ucciso fu Ghassan Kanafani, uno dei massimi scrittori e poeti moderni ma anche uno dei leader dell'Fplp che aveva apertamente rivendicato la strage all'aeroporto di Lod del maggio 1972.

Per anni, anzi per decenni, in seguito il Mossad ha colpito ovunque nel mondo militanti e dirigenti palestinesi soprattutto come rappresaglia dopo attentati o in funzione preventiva, mirando ai registi e agli organizzatori del terrorismo palestinese. Pacchi bomba, libri esplosivi, cioccolatini avvelenati, bombe piazzate nel telefono o autobombe che comportavano spesso un numero elevato di "effetti collaterali", i passanti travolti dall'esplosione.

La situazione è cambiata agli inizi degli anni 2000, con la seconda Intifada, la raffica di attentati suicidi che provocò circa 1500 vittime fra gli israeliani. Sino a quel momento lo Stato di Israele non aveva mai ammesso e rivendicato gli assassini mirati. Dal 2001 cominciò a farlo anche se non sempre. A occuparsi delle "esecuzioni" non fu più il Mossad ma l'esercito, le Idf.  È in questa nuova dimensione, che contò in pochi anni 387 vittime di targeted killings, che furono uccisi nella primavera del 2004 il capo e fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, e subito dopo il suo erede e successore, Abdel Aziz al-Rantissi. Il senso stesso delle operazioni mirate era cambiato rispetto ai decenni precedenti, si era trasformato una spietata guerra del terrore.

Nel 2014, dopo la tregua con Hamas, Israele si impegnò a interrompere gli attentati ad personam. Non lo fece del tutto ma gli obiettivi furono soprattutto militanti della Jihad, o di Hezbollah in Libano ma nel mirino è sempre rimasto chiunque coinvolto nella ricerca di nuove armi o nella progettazione di attentati. Dopo la fine della seconda Intifada si trattava però soprattutto di una strategia che mirava a difendere lo status quo più che di una guerra del terrore come nel primo decennio di questo secolo.

Il 7 ottobre ha riaperto le ostilità a tutto campo. Israele ha colpito a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, in Iran. Hanyeh era ufficialmente nel mirino delle Idf. Era scampato pochi mesi fa a un attentato in cui aveva perso la vita il figlio. E tuttavia il senso della sua uccisione in questo momento resta ambiguo. Hanyeh non era un moderato, come da semplificazione frequente ma eccessiva. Era in compenso l'anima diplomatica di Hamas: l'unica con la quale si potesse provare a trattare. Era in corso una trattativa, forse con qualche probabilità di successo in più delle numerose precedenti. Di certo la pressione americana per un'intesa in grado di mettere fine alla guerra si è moltiplicata: Kamala e il presidente hanno bisogno della pace in tempo per le elezioni di novembre. L'uccisione di Hanyeh, non solo per l'identità del bersaglio ma anche per le modalità del colpo che ha ridicolizzato l'Iran, sembrano fatti apposta per chiudere ogni spiraglio e non è il primo segnale di quanto poco Bibi Netanyahu voglia davvero una pace, o anche solo una tregua, che gli costerebbero non solo il posto ma probabilmente anche la libertà, essendo l'eventualità di un suo arresto tutt'altro che fantasiosa.

Tutto sembra indicare che proprio questo fosse l'obiettivo del premier israeliano: impedire che le pressioni Usa e la mediazione dei Paesi arabi lo costringesse a mettere fine all'offensiva a Gaza. Ma c'è almeno un'altra possibilità, più tetra ma altrettanto realistica. La lunga storia degli omicidi mirati di Israele dimostra che a volte a decidere la data di un omicidio è semplicemente la possibilità di portare a termine una missione altrimenti difficile. Riuscire a soprendere Hanyeh non era facile. I dirigenti di Hamas sanno di essere sempre possibili bersagli e si muovono di conseguenza. Non è escluso che Israele abbia colpito ieri semplicemente perché, complice l'insediamento del nuovo leader iraniano, ha visto la possibilità di farlo. E ha deciso di coglierla senza preoccuparsi troppo delle eventuali conseguenze.