Washington è un’anomalia tutta americana. La capitale non appartiene a nessuno dei cinquanta Stati, è un distretto autonomo posto sotto la supervisione diretta del Congresso, e storicamente è un fortino elettorale democratico: alle ultime presidenziali Kamala Harris ha raccolto qui oltre il 90% dei voti. Prima di lei stravinsero con percentuali bulgare anche Clinton, Gore, Kerry, Obama e Biden.

Washington è anche il cuore del potere, la sede di tutte le istituzioni Usa, della Corte suprema, dei dipartimenti, delle agenzie federali, del Pentagono e, naturalmente, della Casa Bianca. Nell’immaginario MAGA è la porta dell’inferno, il simbolo dell’oppressione politica e fiscale nonché fucina di ogni complotto, un luogo capace di suscitare un odio atavico e scomposto come emerse nell’assalto, pazzesco, a Capitol Hill del gennaio 2021.

Commissariando la polizia metropolitana e inviando oltre 800 soldati della Guardia nazionale Donald Trump non ha fatto altro che proseguire per vie legali la logica di quell’assalto, dichiarando guerra alla città che ospita la sua residenza e che alle elezioni di novembre gli ha riservato un misero 6%. A rendere possibile la militarizzazione di Washington è lo statuto speciale del Distretto di Columbia che ha meno autonomie rispetto ai singoli Stati. Una legge federale consente al presidente di assumere il controllo della polizia locale per 48 ore in caso di emergenza, prorogabili fino a 30 giorni, con eventuale estensione solo previa approvazione del Congresso.

Per Trump, questa particolarità è una porta d’ingresso perfetta: nessun altro territorio consente un intervento così diretto da parte della Casa Bianca. Già nel mese di marzo, un decreto aveva ampliato i poteri del presidente sulla gestione municipale a guida democratica, con particolare attenzione alla lotta all’immigrazione clandestina.

Ufficialmente, si tratta di rispondere a una “emergenza di criminalità”, ma i numeri raccontano altro: secondo i dati dell’amministrazione cittadina, il 2024 ha registrato il livello di crimini violenti più basso degli ultimi trent’anni, e il 2025 ha proseguito su quella strada, con un calo del 26% rispetto all’anno precedente e con un -12% del tasso di omicidi. Il presidente ha però promesso di «ripulire» la capitale, liberandola dalle «gang», dai «graffiti» e dagli accampamenti di senzatetto nei parchi e sulle strade. Ha promesso di fornire alloggi lontano dalla capitale ai senza tetto, senza precisare dove, e di incarcerare i «criminali». Nella retorica trumpiana, la capitale è dipinta come un territorio occupato da forze ostili, da riconquistare con la forza e riportare all’ordine.

Una mossa che richiama, su scala nazionale, quanto già avvenuto in California lo scorso giugno, quando lo stesso Trump inviò la Guardia nazionale a Los Angeles per sedare fantomatiche rivolte di immigrati contro gli agenti dell’ICE (l’agenzia che controlla le frontiere ed espelle i migranti) e sfidando apertamente il governatore democratico Gavin Newsom.

La sindaca di Washington, Muriel Bowser, ha definito il commissariamento della polizia «un fatto inquietante e senza precedenti» ricordando, invano, il significativo calo dei crimini violenti. Trump, però, insiste sulla narrazione di una capitale «fuori controllo», facendo leva su episodi isolati ma molto mediatici. Tra questi, l’aggressione al 19enne Edward Coristine, uno studente universitario vicino a Elon Musk ed ex dipendente del DOGE, il dipartimento per l’Efficienza del governo. Coristine era stato picchiato brutalmente il 3 agosto mentre cercava di fermare un tentativo di furto d’auto; due quindicenni sono stati identificati e arrestati. Un fatto isolato ma sfruttato con estrema abilità dell’amministrazione per giustificare l’arrivo della cavalleria.

Per l’elettorato MAGA vedere il presidente che prende il controllo di Washington manu militari rappresenta una gioiosa rivalsa contro gli stramaledetti “federali” e le loro cospirazioni eterne (e mai dimostrate), per Donald Trump un’altra tappa verso l’esercizio di un potere assoluto e senza inibizioni.