Una torsione pericolosa, visibile anche in regimi eletti democraticamente ma che vivono una deriva autoritaria come l’Argentina di Javier Milei che ha dichiarato guerra alla libera stampa, paesi segnati da un populismo che mina l'indipendenza dei media (e la loro funzione di cane da guardia del potere). Questa la tendenza messa in luce dall'ultimo rapporto, World Press Freedom Index 2023, redatto da Reporters Sans Frontières (RSF) e reso noto proprio nell'anniversario della trentesima Giornata mondiale che celebra la libertà di stampa.

Dall’inchiesta emerge che i pericoli maggiori sono quelli relativi alla disinformazione, all'uso massiccio della propaganda attraverso le fake news sui social media e all'avanzare inarrestabile dell'intelligenza artificiale. Secondo il rapporto un numero crescente di governi non sta assolvendo al compito di salvaguardare il giornalismo indipendente e il diritto di avere accesso a notizie affidabili e diversificate. Un conflitto come quello di Gaza, ad esempio, sta dimostrando le continue violazioni contro giornalisti e media. Un centinaio di reporter palestinesi sono stati uccisi dalle forze di difesa israeliane, di cui almeno 22 stavano svolgendo il loro lavoro. Analizzando i contesti dei diversi continenti, in Africa i diversi colpi di stato hanno avuto come corollario proprio la fine di una informazione indipendente. Nigeria e Repubblica Democratica del Congo hanno visto la presa del potere da parte di giunte militari. In Niger, Burkina Faso e Mali la stretta sui media è diventata ancora più feroce. Ma basta spostarsi in Turchia per vedere come il paese continua a perdere posizioni da quando è stato rieletto Erdogan. In Asia e particolarmente in Cina e difficile anche capire se esiste una stampa libera sia pure vessata. Stessa cosa in Russia e Bielorussia.

Quest’anno Rsf ha posto un focus sul continente latino americano e in particolare sull'Argentina del presidente “anarco-capitalista” Javier Milei, eletto nel dicembre dello scorso anno. Il quadro è sconfortante. Insultare ripetutamente i giornalisti in pubblico, minacciarli e attaccandoli in alcuni casi anche fisicamente, perseguirli con azioni legali, infine il tentativo costante di smantellare i media di Stato. Il presidente argentino è diventato famoso come commentatore economico alla radio e alla TV. Negli ultimi cinque anni è stato anche noto per i suoi scontri con i giornalisti e le manifestazioni di ostilità nei loro confronti. Un'aggressività esibita anche sui social media con violenti attacchi verbali contro qualsiasi cronista minimamente critico. Lo stile di Milei non è nuovo sulla scena politica internazionale. Si tratta della strategia utilizzata da personaggi come Jair Bolsonaro in Brasile e Donald Trump negli Stati Uniti, che non a caso hanno plaudito alla sua vittoria. Sembra incredibile ma Milei ha sdoganato un linguaggio con il quale dipinge i giornalisti come ignoranti, imbecilli asini e persino scrocconi. Durante la campagna elettorale chi metteva in risalto le sue palesi e grossolane falsità finiva nella lista dei mentitori se non dei corrotti.

I suoi discorsi sono ripresi dai suoi sostenitori, che ripetono gli insulti ai giornalisti per poi, in alcuni casi, attaccarli fisicamente come successo in alcuni seggi durante le elezioni. Nel 2022 Milei, come deputato, ha intentato una causa per diffamazione contro cinque giornalisti, chiedendo 1 milione di pesos a ciascuno perché avevano fatto intendere che avesse riproposto concetti nazisti in alcune dichiarazioni pubbliche.

E infine l'attacco più pericoloso, quello che potrebbe portare a una totale privatizzazione del settore dell'informazione.

Milei infatti non ha perso tempo a includere la radio e la televisione pubblica e l'agenzia di stampa nazionale Telam nella lista delle imprese statali che intende cedere oppure che vuole chiudere perché sarebbero diventate centrali di propaganda avversa. Ha anche annunciato che abolirà tutta la pubblicità statale nei media.