La Corte internazionale di giustizia ha cercato di trovare un punto di equilibrio sul ricorso presentato dal Sudafrica alla fine dello scorso mese di dicembre nel quale Pretoria denunciava la violazione della Convenzione sul genocidio da parte di Israele, in merito alle operazioni in corso sulla Striscia di Gaza. Inevitabilmente – anche in questo caso -, considerata la delicatezza delle questioni affrontate, il provvedimento ha creato schieramenti contrapposti. I giudici dell’Aja nella loro ordinanza si sono soffermati su alcune misure provvisorie alle quali lo Stato di Israele dovrebbe attenersi. Per la precisione, la Corte ritiene che Israele debba adottare, in conformità con i gli obblighi relativi alla Convenzione sul genocidio, «in relazione ai palestinesi di Gaza, ogni provvedimento in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti rientranti nell'ambito di applicazione» della medesima Convenzione.

Le misure presenti nell’ordinanza non indicano, però, quelle richieste dal Sudafrica, come la sospensione di tutte le operazioni militari israeliane. Tra le raccomandazioni particolarmente significative quelle contenute nei paragrafi da 79 a 81. L’Aja ha chiesto ad Israele di prevenire e punire atti volti ad incitare la commissione di un genocidio nei confronti dei palestinesi di Gaza. «La Corte – si legge al paragrafo 80 – ritiene, inoltre, che Israele debba adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare la crisi delle condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza». E ancora. Israele deve impegnarsi a prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove del presunto genocidio contestato dal Sudafrica.

Giuseppe Paccione, professore dell'Università Unicusano (insegna Operazioni di pace e intervento umanitario), sottolinea che le questioni affrontate nell’ultimo mese davanti ai giudici dell’Aja restano aperte. La controversia tra Tel Aviv e Pretoria rimane e la giurisdizione appartiene alla Corte internazionale di giustizia. «Nell’ordinanza – dice al Dubbio il professor Paccione - si evince che non vi è un ordine di imposizione del cessate il fuoco, ma di intraprendere la via di non violazione della Convenzione di Genocidio. La questione chiave era quella dell’intenzione di voler distruggere l’intera popolazione palestinese, senza prove tangibili, ma che la Corte si è basata superficialmente su dichiarazioni di alcuni organi del governo israeliano, che potrebbero essere interpretate come implicanti il criterio dell’intenzione che, guarda caso, la Corte non ha incluso nella sua analisi come evidenza di intenti genocidari. Il tema di fondo concerne le misure da indicare, in base al quale i giudici della Corte internazionale di giustizia non hanno ordinato, come si può evincere dall’ordinanza contro Israele, le misure richieste dalla delegazione sudafricana, come l’interruzione totale delle operazioni manu militari di Israele o di desistere dalla distruzione della vita dei palestinesi a Gaza, come pure aver indicato la misura provvisoria del mettere a tacere le armi».

Paccione si sofferma sulla natura del provvedimento emesso: «Nell’ordinanza si riscontra la richiesta alle autorità di Tel Aviv di adottare ogni genere di atto volto a prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio e l’applicazione di misure immediate ed efficaci in materia di assistenza di carattere umanitario. Va precisato che tale decisione non costituisce una vera e propria sentenza definitiva della Corte contro lo Stato di Israele, ma una previa raccomandazione, in un certo senso cernierata dal vincolo di seguire i vari punti scritti nelle conclusioni dell’ordinanza stessa. Difatti, lo statuto della Corte determina che essa ha il potere di indicare le misure cautelari o provvisorie che debbono essere prese a salvaguardia dei diritti rispettivi di ciascuna parte. È ben noto che la concessione delle misure provvisorie da parte della Corte internazionale di giustizia è divenuta molto frequente».

I giudici internazionali non hanno accusato Israele di aver violato la Convenzione sul genocidio. «Dall’Aja – conclude Paccione – la richiesta di rispettare quanto contenuto nell’articolo 2, in base al quale Israele deve seguire il contenuto della definizione stessa di genocidio relativo ad atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

La reazione di Tel Aviv nei confronti della Corte internazionale di giustizia non si è fatta attendere. «La stessa affermazione – ha detto il premier Benyamin Netanyahu - che Israele compia un genocidio del popolo palestinese è non solo menzognera, ma anche oltraggiosa. La disponibilità della Corte di prenderla in esame è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni. Alla vigilia della Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto mi impegno da premier di Israele: “Mai più”. Israele continua a difendersi contro Hamas, un'organizzazione terroristica genocida». Ancora più duro Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale. L’esponente del governo israeliano si è spinto molto in là, definendo “antisemita” la Corte internazionale di giustizia: «Il tribunale non cerca la giustizia, ma solo di perseguitare il popolo ebraico».

La giornata è stata caratterizzata da grande tensione anche per la notizia secondo la quale 12 dipendenti dell'Unrwa (l’agenzia Onu che assiste i rifugiati palestinesi) potrebbero essere stati coinvolti nell'attacco di Hamas il 7 ottobre scorso contro Israele. Da qui la decisione degli Stati Uniti di sospendere temporaneamente i finanziamenti. Sulla vicenda è intervenuto l’Alto rappresentante Josep Borrell. «Siamo estremamente preoccupati – ha commentato - per le accuse di coinvolgimento del personale dell'Unrwa negli attacchi terroristici del 7 ottobre in Israele: l'Ue ribadisce la sua più ferma condanna degli attacchi dei terroristi di Hamas contro Israele, che non hanno alcuna giustificazione».