Viene presentato oggi a Roma, presso la Fondazione Craxi (via Montevideo, 2/A, ore 18), il volume dal titolo "La maledizione dell'Achille Lauro" (editrice Zambon), in cui l'attivista Reem al-Nimer ha ricostruito la storia del sequestro della nave da crociera italiana, che vide protagonista anche suo marito, Abu Abbas, leggendario leader del Fronte per la Liberazione della Palestina. La morte di un anziano turista americano, Leon Klinghoffer, uno dei passeggeri aggrediti, restò per anni un cruccio per Abbas, dice oggi la moglie. Eravamo nell'ottobre di 31 anni fa. L'azione dei palestinesi provocò una crisi internazionale che terremotò persino i rapporti politici e diplomatici tra l'Italia e gli Stati Uniti. Il presidente del consiglio, che era Bettino Craxi, ebbe un confronto telefonico asperrimo con il presidente americano Ronald Reagan. E nella base militare di Sigonella, in Sicilia, dove era atterrato l'aereo con Abu (che aveva avuto l'assicurazione che sarebbe ripartito per la Jugoslavia), i marines americani, che volevano catturarlo, si fronteggiarono armi in pugno coi carabinieri. Alla fine l'aereo decollò. Con Abbas. Reagan non la prese bene.«La morte di Klinghoffer - dice ora Reem al-Nimer - ha tormentato Abu, a maggior ragione per le pressioni che arrivavano dagli Stati Uniti d'America, il paese più potente della terra. Reagan ha utilizzato l'evento per giustificare la guerra ai palestinesi, sostenendo che stava combattendo il terrorismo. È stato un conflitto unilaterale degli americani sul popolo della Palestina, che tentava, con diversi mezzi, di fare sentire la sua voce nella comunità internazionale. Allora non abbiamo avuto accesso alle reti televisive o alle radio; nessuno ci ascoltava».Lo scontro con i passeggeri non era stato programmato.L'operazione «Achille Lauro», come molte precedenti, ha rappresentato un disperato grido di allarme lanciato al mondo, per dire che eravamo ancora lì, ancora vivi, anche se subivamo un'occupazione brutale. Non era violenza fine a sé stessa e i civili non erano il loro bersaglio. Solo un uomo è morto a bordo della nave e - lo abbiamo detto più volte - è stato ucciso per caso, non su ordine o per volontà di mio marito. All'interno della Palestina, tuttavia, centinaia di migliaia di persone sono morte perché gli Usa hanno dato a Israele il diritto di commettere atrocità contro gli abitanti autoctoni, senza porsi troppe domande o risalire alle reali responsabilità, in nome della lotta al terrorismo.Avete avuto rapporti con i parenti di Leon Klinghoffer, la cui morte sull'Achille Lauro è rimasta un mistero perfino per i giudici?Né io né mio marito abbiamo mai incontrato la sua famiglia, ma sono pronta a farlo se si presenterà l'occasione. Trentuno anni sono passati da quando è stato ucciso. Dal mio libro emerge chiaramente che è stato un errore, che non sarebbe dovuto accadere e che era crudele, sbagliato e ingiusto. Un errore, tuttavia, non basta a giustificare il fiume di sangue che è sgorgato attraverso il mio paese per 68 lunghi anni.È riuscita a darsi una spiegazione di quanto è avvenuto nel 2004, quando Abu Abbas morì mentre si trovava sotto custodia americana? Il Fronte di Liberazione della Palestina ha sempre parlato di omicidio, non condividendo le "cause naturali" che campeggiano sulle versioni ufficiali.Sappiamo che gli Stati Uniti hanno deciso di tenerlo in prigione. Morì in cella ma non era malato. La scomparsa in quell'anno dei quattro principali leader palestinesi non può essere stata una semplice coincidenza. Due sono stati assassinati: lo sceicco Ahmad Yassin, il fondatore di Hamas, nel mese di marzo, mentre il suo successore Abdul-Aziz al-Rantisi ad aprile. Anche Abu Abbas ha perso la vita a marzo mentre a novembre è toccato al presidente Arafat, per "cause sconosciute", in un ospedale di Parigi. In quel periodo era al potere Ariel Sharon, che aveva un conto aperto con loro, che si erano dimostrati nel corso degli anni troppo testardi e difficili da affrontare. È come se a Tel Aviv avessero deciso di vincere una volta per tutte la loro resistenza. Giudicate voi. Nella cella di una prigione americana tutto può succedere e io non escludo un avvelenamento.Qual è il più grande insegnamento che Yesser Arafat, premio nobel per la pace nel 1994, è riuscito a trasmettervi?È stato un capo coraggioso, un'ispirazione per milioni di persone non solo per la Palestina e gli arabi, ma in tutto il Terzo Mondo. Ha lavorato per la giustizia, la sua terra e la liberazione di tutti i popoli oppressi. Ha fatto l'impossibile per tenere in vita la causa palestinese e di fatto ha trascorso la sua vita tra i bunker e gli aerei, promuovendo la nostra causa in tutti gli angoli del globo. Nulla ha fermato il Presidente: né le pallottole, né i pettegolezzi né le sconfitte. Nonostante i suoi militari abbiano accusato battute d'arresto in Libano e Giordania, si è ripreso, ha lottato e ci ha dato l'ispirazione per andare avanti. Grazie ad Arafat siamo stati in grado di ripristinare la parola "Palestina" sulla mappa del mondo. Abbiamo ottenuto una bandiera, un inno nazionale, un governo, un parlamento. Il fatto che non siano durati a lungo non era una sua colpa, gli americani e gli israeliani non hanno mai preso seriamente gli accordi di Oslo. Arafat ha vissuto ed è morto per la Palestina. Ci ha insegnato a non mollare mai, indipendentemente da quanto fossero dure le circostanze.Abu Abbas è stato considerata una figura leggendaria, da alcuni. Da altri un terrorista.Personalmente non credo nelle leggende e nell'eroismo, con alcune notevoli eccezioni per persone come Nelson Mandela. Credo nei gesti degli uomini e nel coraggio, sia che vengano dal più piccolo soldato della resistenza o direttamente dal presidente. Le gesta di un coraggioso giovane palestinese possono renderlo leggendario proprio come il più grande dei giganti della storia araba. Abbas era un semplice combattente. Un uomo che ha vissuto in povertà per la maggior parte dei suoi anni, a causa della dura educazione nei campi della Siria. È partito da zero, non ha ereditato un lavoro, non aveva i soldi per pagare i suoi sostenitori e non è stato sostenuto da tutti i paesi. Non possedeva nemmeno la casa in cui viveva. Come la maggior parte dei palestinesi della sua generazione, ha convissuto con la rabbia, ha sofferto l'oppressione, la povertà e la disumanizzazione. La sua patria era stata incendiata dagli israeliani e lui voleva due cose: vendetta e giustizia. La radicalizzazione viene dalla profonda oppressione, la violenza dà il via ad un circolo vizioso.E se oggi fosse ancora vivo?Starebbe ancora combattendo, forse non con le armi, ma con qualsiasi mezzo a sua disposizione: i media, Internet, i social network, gli studenti. Era un lottatore, non c'è dubbio; ha vissuto da combattente ed è morto da combattente. Non posso prevedere quali tattiche avrebbe utilizzato oggi, dal momento che il mondo è cambiato tanto dopo l'11 settembre. Quello che avrebbe potuto essere legittimo 20 anni fa in guerra, ora è osteggiato nell'epoca del "terrore globale". Abu Abbas era un uomo incredibilmente intelligente e si sarebbe adattato alle dinamiche di cambiamento della politica mondiale e della cosiddetta "primavera araba", che purtroppo ha sminuito e messo in ombra la causa palestinese.Il caso diplomatico di Sigonella poteva sfociare in uno scontro armato tra Aeronautica, Carabinieri e forze armate americane. Come giudica l'operato di Bettino Craxi e Giovanni Spadolini (che era il ministro della difesa), che peraltro proprio dopo questi fatti arrivarono a una rottura tra loro che portò alla crisi di governo?Il primo ministro era un uomo buono e Abu Abbas ha sempre parlato di lui con molto affetto. Rifiutò di piegarsi agli americani, lanciando forse il primo guanto di sfida degli italiani agli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Non è accaduto spesso alla causa palestinese di avere dalla sua parte il leader di un paese europeo, ed è stato politicamente scorretto e pericoloso, perché ha portato le relazioni con il presidente Reagan al livello più basso di sempre. Da allora abbiamo avuto leader europei che hanno risposto agli ordini degli americani, come Tony Blair. Craxi non era così; rivendicò le sue idee e la dignità dell'Italia. L'Achille Lauro era una nave italiana e lui era un amico del presidente Arafat. Non avrebbe permesso agli americani di andare dritti per la loro strada anche se questo avesse innescato un confronto militare. Ha evitato che i palestinesi venissero abbattuti o trasportati in Israele, dove sarebbero stati uccisi perché erano "ricercati".Nel volume ha cercato di spiegare che la convivenza è possibile e necessaria e che i palestinesi sono stanchi di vivere in Iraq così come gli israeliani vorrebbero lasciare una terra che non gli appartiene. Eppure integrazione e tolleranza sembrano ancora una chimera.A mio parere gli accordi di Oslo sono stati un fallimento totale perché gli americani hanno promesso molto più di quello che potevano offrire e hanno mentito al presidente Arafat. Basta guardare a tutte le violazioni degli israeliani, a partire dall'espansione degli insediamenti. In più non sono state affrontate due questioni fondamentali: il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi e il futuro di Gerusalemme. Questo ha alimentato radicalizzazione, angoscia e disperazione, che hanno portato alla seconda Intifada nel settembre 2001. Anche oggi, trentatré anni dopo Oslo, la maggior parte delle promesse sono svanite e i palestinesi sono stati sradicati dalla loro terra. Gli israeliani controllano ancora i nostri confini, i nostri soldi, e perfino chi può parlare di noi nella comunità internazionale. La pace non vedrà mai la luce in Medio Oriente se non si ottiene giustizia per i palestinesi, con il ritorno ai confini del 1967 e una soluzione adeguata alla crisi dei rifugiati. Semplicemente non credo che Netanyahu sia interessato, proprio come non lo è stato Moshe Dayan dopo il 1967. Non a caso ha detto: «Andate a dire ai rifugiati in Cisgiordania che non abbiamo una soluzione. Loro vivono come cani e chi vuole lasciare è libero di andare! ».Da cosa nasce la distinzione tra ebrei e israeliani?Le antiche tribù ebraiche facevano parte della storia, come lo erano i nostri partner e amici nelle terre arabe. Questa terra appartiene a loro, tanto quanto appartiene a noi. Il sionismo invece è una storia completamente diversa: una creazione coloniale volta a occupare terre. Non ha nulla a che fare con la coesistenza e con gli ebrei-arabi, la maggior parte dei quali ha rifiutato quanto è emerso alla fine del XIX secolo. I sionisti hanno scelto l'antica lingua ebraica e non il nuovo Yadish, ma ciò non significa nulla. Nei vecchi quartieri di Damasco o di Sanaa si trovano ancora gli ebrei, che parlano e pregano in ebraico. Lo stesso vale per l'Iraq e per la Palestina, proprio come si trovano i cristiani che nell'antica città di Maaloula parlano ancora la lingua di Gesù Cristo.Stiamo vivendo un momento di forte tensione, aggravato dal terrorismo che colpisce indistintamente nel cuore dell'Europa e dalle dure offensive dell'Occidente nei territori islamici. L'Europa appare sempre più disgregata, economicamente e politicamente. Il Medio Oriente è frastagliato e l'apice è stato raggiunto in Turchia. Perfino Usa e Russia appaiono meno incisive rispetto al recente passato.Chiediamoci cosa abbia originato questa tensione. Il grilletto è stato naturalmente l'11 settembre, seguito dalle guerre in successione in Afghanistan e Iraq. Poi venne la guerra della Nato contro la Libia, che ha lasciato il paese in rovina e ha rappresentato un invito aperto per i terroristi da parte del cosiddetto Stato islamico e dalla Siria. Invece di trovare un modo per portare soldi e lavoro alla popolazione, gli americani stanno progettando una nuova guerra in Libia, che alimenterà ulteriormente la radicalizzazione. Le armi si sono spostate nella penisola del Sinai, dove gli jihadisti hanno promesso fedeltà all'ISIS, e, più recentemente, a Gaza. La grande guerra al terrorismo, anzichè contenerlo o prevenirlo, lo sta diffondendo. Basta guardare a quello che ha originato l'occupazione in Palestina, Iraq e Libia. Il terrorismo si fermerà solo quando finirà l'occupazione: è semplice.