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È alta tensione a Tunisi dopo il colpo di mano del presidente, Kais Saied, che ha assunto il potere esecutivo. I suoi sostenitori si sono scontrati con quelli del partito islamista Ennahda di fronte al Parlamento di Tunisi, che è stato circondato dalle forze armate dopo che Saied, domenica sera, ne ha decretato il congelamento per 30 giorni. La mossa di Saied, che ha rimosso il primo ministro, Hichem Mechichi, era giunta al termine di una giornata di manifestazioni contro Mechichi ed Ennahda, accusati di aver gestito male l’epidemia di Covid-19 e di non essere riusciti a risollevare il Paese dalla crisi economica. Al sit-in di Ennahda di fronte al Parlamento ha partecipato anche il presidente del Parlamento, Rached Ghannouchi, al quale è stato impedito l’ingresso nell’edificio. Ghannouchi, anch’egli rimosso ieri da Saied, ha accusato il presidente di aver perpetrato un colpo di Stato «contro la rivoluzione e la Costituzione». A dieci anni dai moti popolari che posero fine alla ventennale dittatura di Zine El Abidine Ben Ali, il Paese che era stato salutato come l’unica storia di successo delle Primavere Arabe si trova quindi al centro di una crisi costituzionale che segue mesi di paralisi politica causata dai continui conflitti tra Saied, Mechichi e Ghannouchi; uno stallo che, tra veti incrociati e mancati rimpasti, ha impedito di dare una risposta alle migliaia di giovani preda della disoccupazione e di affrontare in modo adeguato l’emergenza coronavirus, che ha causato 18 mila morti nel Paese nordafricano. Ennahda ha accusato Saied di aver orchestrato sia le proteste di ieri che le manifestazioni di giubilo seguite all’annuncio della rimozione del governo, un passo che, secondo un documento segreto rivelato lo scorso maggio da Middle East Eye, Saied meditava già da parecchio. «Anche noi siamo in grado di organizzare grandi manifestazioni e mostrare il numero di tunisini che sono contrari a queste decisioni», ha spiegato a France Presse una fonte di Ennahda, che rimane il partito di maggioranza del Paese. Vicina al movimento dei Fratelli Musulmani, Ennahda può inoltre contare su importanti appoggi internazionali, in primis la Turchia, il cui ministero degli Esteri ha espresso «profonda preoccupazione» e ha chiesto il ripristino della «legittimità democratica». «Ho preso le decisioni necessarie per salvare la Tunisia, lo Stato e il popolo tunisino», ha detto ieri Saied, eletto lo scorso 2019, che ha fatto ricorso all’articolo 80 della Costituzione che consente di bloccare l’attività del Parlamento in caso di «pericolo imminente». In attesa della risposta della piazza di Ennahda, i militari non hanno ancora intrapreso le iniziative radicali previste dal documento rivelato lo scorso maggio. Mechichi non è stato arrestato e, secondo France 24, si trova nella sua abitazione. Fonti della sicurezza tunisina hanno poi smentito l’evacuazione della sede di Al Jazeera, considerata vicina a Ennahda.