Umiliata e sottoposta ad una gogna mediatica lunga un anno per dei video hard diffusi a sua insaputa sul web. È per questo che Tiziana Cantone ha deciso di togliersi la vita, legandosi al collo un foulard nella casa di sua madre, dove era rientrata dopo un breve soggiorno in Toscana. Non era bastata la decisione del giudice, pronunciata poco tempo fa, che imponeva la rimozione dei video, non era bastato nemmeno l'avvio dell'iter per il cambio di identità. La rete ha continuato a stuprare la giovane donna, che ormai depressa ha deciso di dire basta. Ora la procura di Napoli indaga per istigazione al suicidio. A rovinarle la vita un video ripreso da un ragazzo in un momento di intimità, nel tentativo di far ingelosire il suo ex fidanzato. Sarebbe stata lei stessa ad inviare per gioco le immagini a quattro amici. Ma uno di loro l'ha tradita, inoltrando il filmino a qualcun altro, finché lo stesso non ha fatto il giro dei social.Una valanga di insulti, apprezzamenti pesanti e parodie, anche tra vip, ai quali si è aggiunta anche la vendita di gadget che riportavano la frase pronunciata durante quei momenti di intimità tradita: «stai facendo il video? Bravo». Una giostra dell'orrore che ha fatto piombare la donna in un profondo dolore, impossibile da guarire. Già qualche giorno fa Tiziana aveva tentato di togliersi la vita con dei barbiturici, salvata in tempo dalla madre. Che ora, tramite il sindaco del suo paese, Mugnano di Napoli, smentisce il debito da 20mila euro, notizia diffusa dall'Ansa ieri pomeriggio. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, il giudice avrebbe ordinato la rimozione dei video lesivi, condannando però la donna a rimborsare le spese legali ad altri cinque siti che avevano già provveduto alla rimozione. I familiari, ora, chiedono l'oblio che Tiziana non ha avuto. «Se avete un po' di umanità - ha dichiarato una zia -, lasciateci in pace, non fate come internet». Quello stesso internet che ancora si divide tra chi piange la donna e chi vuole continuare a violentarla. Come l'uomo che su Facebook si dice soddisfatto per la fine della 31enne. «Ti è piaciuto zoccoliare e farti guardare? Ora non ti resta che da un foulard penzolare», ha scritto, augurando la stessa fine alle altre protagoniste di filmini osé. Filmini che Tiziana non avrebbe mai voluto diffondere, un gioco innocente trasformato in un'onta indelebile. «Non l'avevo vista per tutto il giorno, non ho potuto fermarla», si dispera ora Maria Teresa, sua madre. I cronisti, nella giornata di ieri, hanno assediato la villetta in cui la giovane viveva. «Ha dimostrato la sua fragilità da sola - ha dichiarato un'amica di famiglia davanti al cancello di casa -. Non è mai stata abbandonata, era una ragazza dolcissima, non è facile superare». Troppi click - oltre un milione -, troppi "mi piace" che, in realtà, erano rappresentazione del disprezzo, della cattiveria nei confronti di una donna, colpevole solo di voler vivere il sesso come qualsiasi altra ragazza della sua età. In modo normale, libera di scegliere. Click ai quali si erano aggiunte oltre 100mila pagine dedicate all'ormai famosa frase pronunciata da Tiziana in quel momento. Un «problema culturale», commenta Elisabetta Riccardi, presidente dell'associazione antiviolenza "Le Kassandre" di Napoli. «La storia di Tiziana - ha affermato - è il triste ed emblematico esito di quella che è un cultura purtroppo ancora fortemente maschilista. La violenza sulle donne è un problema sociale e culturale e non va letto, come si fa, nei termini di una patologia del maltrattante». La storia di Tiziana racconta dunque l'incapacità degli uomini «di tollerare il cambiamento della figura femminile», utilizzando modalità di svalutazione e aggressività «che sono arcaiche e mirano a svilire e svalutare totalmente la figura femminile, a meno che non rientri nei canoni che riesce a tollerare, ovvero di figura sottomessa». Tiziana, dunque, «si è fatta carico di una battaglia pagandola con la sua pelle». E il maschilismo non riguarda solo gli uomini ma anche molte donne. A ciò si aggiungono la mancanza di finanziamenti e di strumenti adeguati: «c'è ancora troppa resistenza all'educazione sessuale e sentimentale nelle scuole. È un paese resistente».