«Al 41 bis ho messo incinta mia moglie, dormivamo insieme in cella», così avrebbe detto il boss stragista Giuseppe Graviano al suo compagno dell’ora d’aria. Questa è la notizia choc pubblicata su tutti i giornali. Stando alle sue parole, l’ex boss della mafia, ininterrottamente al 41 bis da 24 anni, avrebbe concepito un figlio con un rapporto sessuale durante la detenzione al carcere duro. Alla donna, in pratica, sarebbe stato permesso di entrare in cella. I colloqui erano intercettati e il dialogo è finito agli atti del processo sulla presunta trattativa Stato- mafia. Ma è andata effettivamente così? La risposta è no. In realtà si tratta di una storia vecchia che riguarda anche suo fratello recluso anche lui al 41 bis. Ovviamente non si tratta di aver fatto sesso in carcere, anche perché ciò non può avvenire durante la detenzione normale, figuriamoci in quella speciale del 41 bis dove il controllo è rigidissimo. Parliamo di fecondazione assistita. Accadde che nel 1997 i fratelli Graviano riuscirono a far ' volare la cicogna' dalla cella in cui erano rinchiusi. Le loro mogli, infatti, partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre due anni. Di nascosto i fratelli Graviano avevano fatto passare la provetta dietro le sbarre. La procura di Palermo avviò un’inchiesta in cui veniva ipotizzata una fe- assistita realizzata illegalmente, ma finì con un’archiviazione perché gli inquirenti non riuscirono a trovare i complici.

In realtà non si tratta di un caso unico. Fratelli Graviano a parte, i detenuti in regime di 41 bis hanno diritto a diventare padri usufruendo dei trattamenti per la procreazione assistita. Lo aveva stabilito la sentenza della Cassazione del 2008, accogliendo il ricorso con il quale veniva negata al boss di Cosa Nostra Salvatore Madonia recluso al 41 bis, la richiesta di accedere al programma di procreazione assistita previsto dalla legge 40 del 2004. “Il trattamento penitenziario – si legge nella sentenza - deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona” e, nei confronti dei detenuti, anche quelli al 41 bis, “non possono essere adottate restrizioni non giustificabili e non indispensabili a fini giudiziari”. Il ricorrente aveva fatto presente che sia il Gup del Tribunale di Palermo, e poi anche il Presidente della Corte di Assise di Palermo, lo avevano autorizzato “al prelievo di liquido seminale al fine di consentire alla moglie, affetta da problemi di fecondità, di accedere, alla procreazione medicalmente assistita”. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva negato l’autorizzazione al prelievo sostenendo che la legge 40 “postula la massima tutela del nascituro, nel caso concreto non realizzabile data la situazione di detenzione del genitore”. Inoltre il Dap aveva sostenuto che esistepedivano vano “finalità preventive connesse alla custodia dei soggetti inseriti nel circuito del 41 bis” che imcondazione il prelievo. Contro questa decisione veniva presentato ricorso al magistrato de L’Aquila, il quale aveva rilevato che “le attività che il detenuto in regime di 41 bis doveva compiere non implicavano alcuna uscita dal carcere e neanche dalla propria cella, per cui ( il prelievo in questione) non può qualificarsi come ' trattamento sanitario” previsto dall’organizzazione penitenziaria. Il magistrato sosteneva che del caso si doveva occupare esclusivamente il Dap, ma la Suprema Corte aveva giudicato fondato il ricorso, osservando che sono tutelabili con ricorso al giudice “tutte le situazioni giuridiche soggettive espressamente riconosciute dalle norme penitenziarie, nonché tutte quelle riconoscibili ad un soggetto libero, in relazione alle quali occorre sempre applicare il principio di proporzionalità”. Ma quello di Madonia non è l’unico caso di concepimento in provetta per capimafia detenuti nel carcere duro. Pioniere della fecondazione dietro le sbarre fu nel 2002 un ' uomo d’onore' catanese, il cui nome, per motivi di privacy nei confronti del bambino, non è mai stato reso noto. Fu il ministero della Giustizia ad autorizzare la fecondazione in vitro.

Sempre dal colloquio intercettato tra Giuseppe Graviano e il suo compagno dell’ora d’aria, appare un’altra incongruenza. Avrebbe detto: «Poi nel 1993 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, la mafia, iddi ricinu ( loro dicono ndr) che era la mafia, allora che fa il governo senza, ha deciso di allentare il 41bis, poi c’è la situazione che hanno levato pure i 450». In pratica sostiene che il governo – all’epoca il ministro della Giustizia era Giovanni Conso – avrebbe tolto dal 41 bis 450 mafiosi. La realtà storica è un’altra. Si evince che probabilmente Graviano non è a conoscenza dei fatti: erano 334 i detenuti ai quali non fu prorogato il 41 bis. Giovanni Conso è considerato uno dei più grandi giuristi e ha ricevuto attestati di solidarietà dai suoi ex colleghi del mondo accademico. L’alleggerimento del 41 bis ai 334 detenuti viene visto come un favore alla mafia e utilizzato dalla Procura di Palermo come una prova della presunta trattativa Stato- mafia. In realtà gli appartenenti a Cosa Nostra in quell’elenco, il cui alleggerimento avrebbe potuto conseguire il loro gradimento, erano circa una dozzina e appartenevano in realtà alla vecchia mafia. Gli altri erano soggetti secondari, e in stragrande maggioranza appartenenti ad altre organizzazioni criminali, non a Cosa Nostra.

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