Non si capisce proprio per quale motivo i media li continuino a chiamarli «burloni», quasi a vezzeggiarli con quell’epiteto bonario. I russi Vovan e Lexus, al secolo Vladimir Kuznetsov e Alexey Stolyarov, noti per i loro scherzi telefonici, sembrano comici di modesto livello, ma in realtà non sono altro che agenti provocatori a libro paga del Cremlino. Loro naturalmente negano, affermano di essere liberi e spensierati come libellule, e di certo di non lavorare per lo “zar” Putin.

Lo scorso mese sono saliti agli onori delle cronache italiane come simpatici troll; i due hanno infatti beffato il centralino di Palazzo Chigi e parlato direttamente con Giorgia Meloni spacciandosi per il presidente dell’Unione africana, nel tentativo (riuscito solo in parte) di tirar fuori alla premier italiana tutto il suo scetticismo sul sostegno politico e militare all’Ucraina di Zelensky. La figura non è stata certo delle migliori, c’è stata qualche bacchettata da parte dell’opposizione che ha pensato di sfruttare la surreale gaffe pro domo sua, qualche polemica sul dilettantismo dello staff che non saputo riconoscere il forte accento russo di Kuznetsov e Stolyarov, ma tutto è restato nel campo del gossip politico.

Vovan e Lexus amano provocare i leader occidentali, che definiscono «ingenui e vanitosi» ma hanno speso parole agrodolci per Meloni «molto più empatica e disponibile di altri capi di governo», così giusto per ricordare che loro sono solo dei bravi ragazzi che vogliono farsi quattro risate e che non hanno finalità politiche.

All’inizio del mese di dicembre, però, l’ennesima burla del duo comico si è trasformata in una squallida trappola ai danni dello scrittore di romanzi polizieschi di origine georgiana Grigory Chkhartishvili, noto sotto lo pseudonimo di Boris Akunin. È un nome importante quello di Akunin, tradotto in decine di paesi stranieri, un intellettuale dissidente, che fin qui è riuscito a sottrarsi alla brutale macchina della giustizia russa.

Vovan e Lexus lo hanno contattato affermando di essere due funzionari del governo ucraino desiderosi di sapere cosa pensasse della guerra in corso e del sistema di potere che governa la Russia. Lo scrittore ci è cascato in pieno, attaccando duramente l’invasione dell’Ucraina, la repressione interna messa in moro da Putin e dal suo cerchio magico con espressioni molto ruvide: «La mia povera patria è caduta nelle mani di criminali, le persone che vivono lì, anche quelle che non lo hanno ancora compreso, sono degli ostaggi, questo non è un brutto sogno, ma la realtà e accade in Russia». Infine ha ammesso di avere organizzato anche una raccolta fondi per la popolazione ucraina.

Il problema è che le dichiarazioni di Akunin sono finite sul web, pubblicate anche nel formato di file audio da diversi siti di lingua russa, arrivando in fretta anche alle giganti orecchie del Cremlino. Se le sue posizioni pacifiste e a favore dei diritti umani sono note da tempo ai servizi di sicurezza russi, mai si sarebbe espresso in modo così accorato in un’intervista ufficiale, accortezze di cui hai bisogno se finisci nella linea di tiro dello “zar”. E sono proprio quelle precise parole, estorte con l’inganno dagli ineffabili Vovan e Lexus, ad averlo fatto finire nei guai.

È la collaudata tecnica degli agenti provocatori, un esempio tra tanti di quella soft war che Putin conduce in modo parallelo e sotterraneo contro i “nemici della Patria” tramite la sua occhiuta intelligence. Senza farsi pregare, lunedì scorso, le autorità russe hanno aggiunto il famoso romanziere alla temutissima lista nera in cui finiscono «estremisti e terroristi». In altri termini i comici lo hanno incastrato.

È formalmente accusato di «screditare l’esercito», un reato inventato ad hoc da Mosca nei mesi successivi all’invasione perseguibile fino a 15 anni di prigione, di «diffondere fake news militari» (articolo 207.3 del codice penale russo) e di «istigare al terrorismo» (articolo 205.2). Il comitato investigativo che si occupa del suo dossier ha fatto sapere che Akunin, il quale risiede a Londra da nove anni, è ufficialmente un ricercato dalle autorità e che le sue opere verranno ritirate dalle librerie e dai cataloghi online gestiti da server russi, una censura che ha colpito diversi intellettuali e che ha come unici precedenti i divieti imposti ai tempi dell’Unione sovietica.