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A sentire lui il No al referendum significa solo bocciare una pessima riforma costituzionale. Va da sé che nessuno gli crede. Non che a D'Alema la riforma piaccia, né nel merito né nel metodo, che in fondo è proprio l'opposto di quello che provò a seguire lui con la Bicamerale. Però che non sia tutto qui è evidente. Cosa? Ma il governo, ovvio. Tanto più che l'incauto si è sgambettato da solo mettendo la poltrona di palazzo Chigi in campo e oramai non c'è Napolitano che tenga. Come al tavolo da poker, in questo tipo di giochi il ritiro della puntata, "Oopss, ci ho ripensato", non è previsto.Solo che all'ex lìder maximo rottamato anche del governo gli importa fino a un certo punto. Non è quella per lui la vera posta in gioco. Saluterà con gioia il trasloco del fiorentino da palazzo Chigi ma solo in quanto passaggio necessario, e chissà se anche sufficiente, verso il vero traguardo: le redini del partito.In fondo, dichiarazioni di prammatica a parte, non ne fa mistero neanche lui: quando dice chiaro e tondo che se vince il No muore il Partito della Nazione Massimo D'Alema riconosce senza perifrasi che intorno al referendum si svolgerà di fatto anche il congresso del Pd. Ed è questo che per lui, uomo di partito più di chiunque altro nel Pd, conta sul serio.Sulla carta, referendum e congresso hanno poco a che spartire. Se ha senso affermare che un governo disarcionato dal cavallo di battaglia deve per forza dimettersi, il rapporto di causa ed effetto è certamente meno vistoso e immediato per quanto riguarda la guida del partito. Quand'anche Renzi desse seguito alla promessa di dimettersi se sconfitto, nulla gli impedirebbe di candidarsi poi nelle elezioni politiche. Nulla tranne la perdita della segreteria del Pd e in effetti il segretario in carica non ha mai fatto cenno ad eventuali dimissioni da quel ruolo chiave, anche qualora dovesse finire ko nel voto di questo autunno. I sondaggi, peraltro, segnalano che a tutt'oggi il rottamatore gode di un'ampia maggioranza nel partito.Sono chiacchiere e D'Alema lo sa perfettamente. Se Renzi sarà battuto sulla riforma il conto alla rovescia per l'attacco alla sua segreteria inizierà immediatamente. L'accusa di aver spaccato il partito sarà travolgente. Il voto sarà la prova provata che gli elettori, i quali alla fine contano qualcosina in più degli iscritti, non si fidano più di Renzi. Del resto se c'è un'arte nella quale Massimo D'Alema eccelle da sempre sono proprio le manovre congressuali, quei giochi di potere che lui, in quanto uomo di partito doc, conosce molto meglio dei "ragazzini" arrivati al vertice più in virtù degli errori di Bersani che non del loro talento.Se il No vincerà, D'Alema passerà automaticamente in vantaggio nella sfida chiave per la leadership del Pd. Peccato che, anche qualora tutto andasse secondo i suoi piani, proprio a quel punto si ritroverebbe con uno spaventoso vuoto di fronte. Nel medesimo vicolo cieco nel qual i Ds si sono già dibattuti invano per anni, dal 2000 in poi: il paradosso di un partito il cui leader più influente non può figurare come segretario.D'Alema non dispone di un candidato credibile alla segreteria da contrapporre a Renzi: bruciata, non foss'altro che per questioni generazionali, tutta la vecchia guardia, rimane ben poco. Non risulta che Speranza possa ambire al ruolo con qualche possibilità di successo. E' vero che con la dipartita di Renzi tornerebbe in campo Enrico Letta, ma quello è un nome molto più spendibile per il governo che non per il partito.Lo sfidante non può neppure contare su un gruppo dirigente degno del nome, e se è vero che da questo punto di vista Renzi sta messo anche peggio è pure vero che una politica centrata tutta sul governo e niente sul partito come quella dell'attuale segretario permette di almeno di nascondere la grave magagna più di quanto non faccia quella opposta di D'Alema.Infine l'attempato ex capo dovrà mettere in campo una visione diversa di partito. Quello di Renzi, sia pure in forma all'amatriciana persino rispetto al pressapochismo di Veltroni, discende comunque dal miraggio del "partito a vocazione maggioritaria" di quest'ultimo. Se riuscirà a scalzare Renzi dal governo nelle urne referendarie D'Alema dovrà prospettare un'alternativa, magari guardando a uno dei suoi tanti altri ex nemici, Romano Prodi, per sloggiare il toscanaccio anche dalla segreteria.Ma questa sarà, forse, storia di domani. Al momento per l'ex presidente del consiglio il solo imperativo è battere quello attuale nel referendum. Poi si vedrà...