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La casa dell'attore Adel Karam
La lunga notte di Beirut ha restituito all’alba di oggi una città di morte e macerie. Della violenta devastazione che ha colpito la capitale del Libano resterà l’immagine di un’apocalisse: un boato che ha raggiunto l’isola di Cipro, distante più di 200 chilometri, un urto pari a quello di un terremoto di magnitudo 4.5, mentre una gigantesca nube rossastra conquista il cielo e le strade. La prima esplosione alle 18 del 4 agosto, ora locale, poi subito un’altra: la deflagrazione colpisce la zona del porto e vaste aree del centro. Le finestre delle case non reggono all’urto, mentre gli edifici, ancora danneggiati dalla guerra civile che ha insanguinato il paese tra il 1975 e il 1990, cadono in pezzi uno dopo l’altro. «Sembra di attraversare un fiume di vetro», racconta Margherita, una cooperante italiana che vive in un quartiere nei pressi del porto, all’indomani dell’esplosione. «Ero in casa quando ho sentito il boato, che mi ha letteralmente buttato a terra - spiega ancora la ragazza. Eravamo tutti certi di morire». Tra le rovine si contano ancora i numeri della strage: almeno 135 le vittime, oltre 5mila i feriti e 80 i dispersi, secondo le ultime stime riportate dai media locali. Circa 300mila le persone rimaste senza casa. A causare le esplosioni sarebbe stato un incendio all’interno di un deposito del porto che conteneva 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, un composto chimico utilizzato come fertilizzante e per fabbricare esplosivi. Ma la dinamica resta ancora incerta: se per il presidente Usa, Donald Trump, le esplosioni sarebbero causate da una bomba - una tesi però contraddetta da tre fonti anonime della Difesa Usa citate dalla Cnn, secondo le quali non ci sono indicazioni di attacchi - sia Israele che Hezbollah hanno negato qualsiasi coinvolgimento.  Il primo si è offerto di inviare aiuti, mentre il movimento filo iraniano ha fatto un appello all’unità del Paese. «Affinché i libanesi possano arrivare a un’indagine trasparente è necessaria una partecipazione internazionale e di esperti in grado di scoprire la verità e rendere giustizia a Beirut e ai suoi cittadini», scrive invece in una nota il partito sunnita dell’ex premier Saad Hariri. La deflagrazione arriva proprio a pochi giorni dal verdetto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, morto nell’esplosione di una bomba a Beirut nel 2005. La sentenza, attesa per il 7 agosto, è stata posticipata al 18 in seguito all’accaduto: «Questa decisione - fa sapere in un nota il tribunale dell’Onu - è stata presa per rispetto delle innumerevoli vittime e dei tre giorni di lutto in Libano». I quattro imputati, in contumacia, sono membri delle milizie sciite filo iraniane di Hezbollah, che hanno sempre negato di avere avuto un ruolo nell’attentato. Intanto, la ministra per i Rifugiati, Ghada Shreim, ha riferito che saranno messi agli arresti domiciliari «tutti i dirigenti del porto responsabili della gestione, della protezione e dell’ispezione dei materiali esplosivi» dal 2014, anno in cui venne sequestrato il carico di nitrato d’ammonio conservato nel deposito esploso. La misura - precisa il ministro dell’Interno Mohamed Fahmy prevede un divieto di viaggi «per chiunque abbia un tipo di legame con quanto successo» e ha rivolto un appello «all’unità» ai politici libanesi, invitandoli a «mettere da parte le dispute per salvare il Paese». Da mesi, infatti, il Libano soffre di una gravissima crisi economica e politica, aggravata dalla pandemia di coronavirus che ha portato al collasso il sistema sanitario: dopo la guerra civile gli ospedali sono stati quasi tutti privatizzati, e quelli pubblici sono a corto di finanziamenti dopo che il governo ha dichiarato bancarotta. La situazione è precipitata rapidamente a partire dalla rivoluzione di ottobre: da allora una parte della popolazione - di cui almeno il 25% tra rifugiati palestinesi e siriani che vivono in condizioni umanitarie estreme - muore letteralmente di fame. La tragedia delle ultime ore non potrà che aggravare la situazione: il Libano, infatti, importa la maggior parte del suo cibo dall’esterno, ma con la distruzione dello snodo portuale il transito di scorte potrebbe essere compromesso.     https://youtu.be/kgzYrtl0vDs
   Il primo si è offerto di inviare aiuti, mentre il movimento filo iraniano ha fatto un appello all’unità del Paese. «Affinché i libanesi possano arrivare a un’indagine trasparente è necessaria una partecipazione internazionale e di esperti in grado di scoprire la verità e rendere giustizia a Beirut e ai suoi cittadini», scrive invece in una nota il partito sunnita dell’ex premier Saad Hariri. La deflagrazione arriva proprio a pochi giorni dal verdetto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, morto nell’esplosione di una bomba a Beirut nel 2005. La sentenza, attesa per il 7 agosto, è stata posticipata al 18 in seguito all’accaduto: «Questa decisione - fa sapere in un nota il tribunale dell’Onu - è stata presa per rispetto delle innumerevoli vittime e dei tre giorni di lutto in Libano». I quattro imputati, in contumacia, sono membri delle milizie sciite filo iraniane di Hezbollah, che hanno sempre negato di avere avuto un ruolo nell’attentato. Intanto, la ministra per i Rifugiati, Ghada Shreim, ha riferito che saranno messi agli arresti domiciliari «tutti i dirigenti del porto responsabili della gestione, della protezione e dell’ispezione dei materiali esplosivi» dal 2014, anno in cui venne sequestrato il carico di nitrato d’ammonio conservato nel deposito esploso. La misura - precisa il ministro dell’Interno Mohamed Fahmy prevede un divieto di viaggi «per chiunque abbia un tipo di legame con quanto successo» e ha rivolto un appello «all’unità» ai politici libanesi, invitandoli a «mettere da parte le dispute per salvare il Paese». Da mesi, infatti, il Libano soffre di una gravissima crisi economica e politica, aggravata dalla pandemia di coronavirus che ha portato al collasso il sistema sanitario: dopo la guerra civile gli ospedali sono stati quasi tutti privatizzati, e quelli pubblici sono a corto di finanziamenti dopo che il governo ha dichiarato bancarotta. La situazione è precipitata rapidamente a partire dalla rivoluzione di ottobre: da allora una parte della popolazione - di cui almeno il 25% tra rifugiati palestinesi e siriani che vivono in condizioni umanitarie estreme - muore letteralmente di fame. La tragedia delle ultime ore non potrà che aggravare la situazione: il Libano, infatti, importa la maggior parte del suo cibo dall’esterno, ma con la distruzione dello snodo portuale il transito di scorte potrebbe essere compromesso.     https://youtu.be/kgzYrtl0vDs     
 Il primo si è offerto di inviare aiuti, mentre il movimento filo iraniano ha fatto un appello all’unità del Paese. «Affinché i libanesi possano arrivare a un’indagine trasparente è necessaria una partecipazione internazionale e di esperti in grado di scoprire la verità e rendere giustizia a Beirut e ai suoi cittadini», scrive invece in una nota il partito sunnita dell’ex premier Saad Hariri. La deflagrazione arriva proprio a pochi giorni dal verdetto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, morto nell’esplosione di una bomba a Beirut nel 2005. La sentenza, attesa per il 7 agosto, è stata posticipata al 18 in seguito all’accaduto: «Questa decisione - fa sapere in un nota il tribunale dell’Onu - è stata presa per rispetto delle innumerevoli vittime e dei tre giorni di lutto in Libano». I quattro imputati, in contumacia, sono membri delle milizie sciite filo iraniane di Hezbollah, che hanno sempre negato di avere avuto un ruolo nell’attentato. Intanto, la ministra per i Rifugiati, Ghada Shreim, ha riferito che saranno messi agli arresti domiciliari «tutti i dirigenti del porto responsabili della gestione, della protezione e dell’ispezione dei materiali esplosivi» dal 2014, anno in cui venne sequestrato il carico di nitrato d’ammonio conservato nel deposito esploso. La misura - precisa il ministro dell’Interno Mohamed Fahmy prevede un divieto di viaggi «per chiunque abbia un tipo di legame con quanto successo» e ha rivolto un appello «all’unità» ai politici libanesi, invitandoli a «mettere da parte le dispute per salvare il Paese». Da mesi, infatti, il Libano soffre di una gravissima crisi economica e politica, aggravata dalla pandemia di coronavirus che ha portato al collasso il sistema sanitario: dopo la guerra civile gli ospedali sono stati quasi tutti privatizzati, e quelli pubblici sono a corto di finanziamenti dopo che il governo ha dichiarato bancarotta. La situazione è precipitata rapidamente a partire dalla rivoluzione di ottobre: da allora una parte della popolazione - di cui almeno il 25% tra rifugiati palestinesi e siriani che vivono in condizioni umanitarie estreme - muore letteralmente di fame. La tragedia delle ultime ore non potrà che aggravare la situazione: il Libano, infatti, importa la maggior parte del suo cibo dall’esterno, ma con la distruzione dello snodo portuale il transito di scorte potrebbe essere compromesso.     https://youtu.be/kgzYrtl0vDs
   Il primo si è offerto di inviare aiuti, mentre il movimento filo iraniano ha fatto un appello all’unità del Paese. «Affinché i libanesi possano arrivare a un’indagine trasparente è necessaria una partecipazione internazionale e di esperti in grado di scoprire la verità e rendere giustizia a Beirut e ai suoi cittadini», scrive invece in una nota il partito sunnita dell’ex premier Saad Hariri. La deflagrazione arriva proprio a pochi giorni dal verdetto del Tribunale speciale dell’Onu sull’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, morto nell’esplosione di una bomba a Beirut nel 2005. La sentenza, attesa per il 7 agosto, è stata posticipata al 18 in seguito all’accaduto: «Questa decisione - fa sapere in un nota il tribunale dell’Onu - è stata presa per rispetto delle innumerevoli vittime e dei tre giorni di lutto in Libano». I quattro imputati, in contumacia, sono membri delle milizie sciite filo iraniane di Hezbollah, che hanno sempre negato di avere avuto un ruolo nell’attentato. Intanto, la ministra per i Rifugiati, Ghada Shreim, ha riferito che saranno messi agli arresti domiciliari «tutti i dirigenti del porto responsabili della gestione, della protezione e dell’ispezione dei materiali esplosivi» dal 2014, anno in cui venne sequestrato il carico di nitrato d’ammonio conservato nel deposito esploso. La misura - precisa il ministro dell’Interno Mohamed Fahmy prevede un divieto di viaggi «per chiunque abbia un tipo di legame con quanto successo» e ha rivolto un appello «all’unità» ai politici libanesi, invitandoli a «mettere da parte le dispute per salvare il Paese». Da mesi, infatti, il Libano soffre di una gravissima crisi economica e politica, aggravata dalla pandemia di coronavirus che ha portato al collasso il sistema sanitario: dopo la guerra civile gli ospedali sono stati quasi tutti privatizzati, e quelli pubblici sono a corto di finanziamenti dopo che il governo ha dichiarato bancarotta. La situazione è precipitata rapidamente a partire dalla rivoluzione di ottobre: da allora una parte della popolazione - di cui almeno il 25% tra rifugiati palestinesi e siriani che vivono in condizioni umanitarie estreme - muore letteralmente di fame. La tragedia delle ultime ore non potrà che aggravare la situazione: il Libano, infatti, importa la maggior parte del suo cibo dall’esterno, ma con la distruzione dello snodo portuale il transito di scorte potrebbe essere compromesso.     https://youtu.be/kgzYrtl0vDs     


