Un corpo alla volta. Vanno avanti per piccoli passi le operazioni di ricerca dei cadaveri dei migranti inghiottiti dal Mediterraneo al confine tra le acque di competenza Sar dell’Italia e quelle della Grecia. L’ultimo corpo rinvenuto in mare a circa 120 miglia dalla costa calabrese è stato issato a bordo della motonave “Dattilo” nel pomeriggio di mercoledì: si aggiunge alle sette vittime ufficiali del naufragio già trasportate nel porto di Roccella e trasferite alla morgue dell’ospedale di Locri. Ma il bilancio è destinato purtroppo a salire, visto che gli undici sopravvissuti tratti in salvo dalla Capitaneria di porto hanno raccontato di almeno altre 60 persone imbarcate di cui non si ha più traccia. Quasi nulle, a tre giorni dal Sos lanciato da un diportista francese che ha raccolto i primi naufraghi, le speranze di trovare qualcuno ancora in vita. E con il passare delle ore, a causa delle correnti che potrebbero averli spostati anche a decine di chilometri dalle zone di ricerca, si riducono anche le speranze di trovare anche solo i corpi dell’ennesimo disastro del mare avvenuto sulla “rotta turca” attraverso cui, da più di venti anni, i flussi migratori in arrivo via mare dal Medio Oriente raggiungono l’Europa.

E mentre le operazioni di ricerca continuano in mare aperto, a Roccella stanno arrivando i parenti dei migranti imbarcati su quel piccolo veliero stipato come un uovo e andato a picco dopo essere rimasto per giorni in avaria e in balia delle onde. Un ragazzo arrivato dalla Germania e uno in arrivo dall’Inghilterra sono già presenti sulle banchine del porto: sapevano della partenza di alcuni loro parenti dalla spiaggia di Bodrum in Turchia e da giorni non avevano più ricevuto notizie. Sono qui nella speranza che i loro cari possano essere tra gli undici scampati al naufragio. E nel pomeriggio di mercoledì, anche la piccola Nalina – la bambina di 10 anni di origine irachena ricoverata nell’ospedale di Locri assieme al migrante ventiduenne che le ha salvato la vita tenendola stretta a se per ore tra le onde – ha potuto riabbracciare la zia. Rintracciata nelle scorse ore, la donna è arrivata in Calabria dalla Svezia mercoledì ed è stata subito accompagnata in ospedale dove ha potuto riabbracciare la bimba che durante la traversata ha perso il resto della sua famiglia. Una piccola luce nell’oscurità di questa ennesima tragedia migrante. La notizia dell’ennesimo naufragio nel cuore del Mediterraneo, passata presto in secondo piano sui sempre più distratti media italiani, continua a rimbalzare invece sui social iraniani, iracheni e siriani che da giorni rilanciano gli appelli di parenti e amici dei dispersi alla continua ricerca di informazioni. Un tam tam ininterrotto di richieste di informazioni che si è riversato, nelle ore immediatamente successive al naufragio, sui centralini della Croce Rossa e che preannuncia la triste processione che, da tutta Europa, convergerà verso

Roccella per riabbracciare i pochissimi sopravvissuti e per le operazioni di riconoscimento dei cadaveri. Lo stesso tremendo copione che poco più di un anno fa aveva visto Crotone – un centinaio di chilometri più a nord di Roccella – invasa dai migranti già residenti in Europa arrivati in Calabria a seguito del disastro di Steccato di Cutro. Un’immagine che non avrebbe più dovuto ripetersi e che invece, a distanza di poco più di un anno dalla più grande tragedia migrante del mare calabrese, si è riproposta praticamente identica. Gli undici sopravvissuti del naufragio sono ricoverati negli ospedali del reggino e sono tutti in via di miglioramento seppure ancora piuttosto provati. Hanno chiesto un telefono per contattare i loro familiari, alcuni dei quali sono già in viaggio verso la Calabria. Da Roma invece sono arrivate le squadre di psicologi che forniranno supporto psicologico ai parenti di vittime e dispersi.

Ancora da definire le cause del disastro. Dalle prime ricostruzioni raccolte dagli inquirenti, il veliero monoalbero di 15 metri su cui erano state ammassate circa 70 persone ( tra cui almeno una ventina di bambini, alcuni poco più che infanti) sarebbe rimasto in avaria dopo tre giorni di navigazione, restando in balia del mare agitato. I migranti avrebbero poi raccontato di diverse barche passate nelle vicinanze del piccolo veliero che hanno ignorato le loro richieste di aiuto. Una mostruosità che, soprattutto in acque greche, sta diventando quasi un’abitudine. Solo un’altra barca a vela, con a bordo turisti francesi in crociera attraverso il Mediterraneo, si è fermata per prestare soccorso lanciando l’allarme quando ormai molti dei migranti a bordo del natante in difficoltà erano stati scaraventati in acqua. A complicare ancora le cose poi ci sarebbe stata una manovra avventata, dettata probabilmente dal panico, che ha provocato un deflagrazione sotto coperta. Alcuni dei sopravvissuti – finiti tutti in ospedale con ferite da traumi esplosivi e ustioni – hanno raccontato che, quando l’acqua aveva già iniziato a invadere il veliero, qualcuno dei passeggeri avrebbe provato ad aprire un gommone di salvataggio quando ancora si trovava sotto coperta. Potrebbe essere stata la deflagrazione del meccanismo automatico di apertura della scialuppa a provocare lo scoppio che ha scaraventato in mare parte dei migranti.