Torna la guerra nel Kashmir. Nella notte tra martedì e mercoledì l’India ha lanciato un attacco aereo nel territorio amministrato dal Pakistan, uccidendo almeno 34 persone di cui 26 civili. Il Pakistan ha risposto all’attacco, abbattendo cinque jet da combattimento indiani e bombardando la parte indiana del Kashmir e provocando 12 morti e 57 feriti.

L’attacco indiano ha preso di mira nove siti, in sei diverse città del Kashmir e del Punjab, ritenuti da Nuova Delhi campi di addestramento per i terroristi dei gruppi Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammed. Il capo di quest'ultimo, Maulana Masood Azhar, ha denunciato la morte della sorella, del genero e del nipote causata dai missili indiani. Il gruppo è ritenuto responsabile del massacro di Pahalgan del 22 aprile scorso, costato la vita a 25 turisti indiani e un cittadino nepalese.

«L'Operazione Sindoor è la risposta dell'India al brutale omicidio dei nostri fratelli innocenti a Pahalgam», ha dichiarato il ministro degli Interni indiano, Amit Shah, «Il governo Modi è determinato a dare una risposta degna a qualsiasi attacco all'India e al suo popolo. L'India rimane fermamente impegnata a sradicare il terrorismo dalle sue radici». Il nome dell’operazione, Sindoor, è carico di simbolismo religioso. Il Sindoor è una polvere rossa con cui le donne indù si dipingono la fronte dopo il matrimonio. Dopo l’attacco del 22 aprile, è diventata virale in India la foto di una donna che giace vicino al cadavere del marito. Il nome è stato quindi scelto per rimarcare il senso vendicativo dell'azione.

Shehbaz Sharif, primo ministro pakistano, ha definito l’attacco «un atto di guerra», affermando che le forze armate pakistane sono state «autorizzate a rispondere di conseguenza» riservandosi il diritto all’autotutela ex art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite. Oltre a colpire le basi ritenute dei terroristi, Nuova Delhi ha indirizzato i suoi missili sulla centrale idroelettrica di Neelum-Jhelum, nel Kashmir pakistano. Poche ore prima dell’attacco, il primo ministro indiano Narendra Modi ha inoltre dichiarato la sospensione del Trattato dell’acqua dell’Indo, avente come oggetto la redistribuzione e utilizzo delle acque del fiume Indo in condivisione con il Pakistan, concluso grazie all’intermediazione della Banca Mondiale nel 1967.

«Ora, l'acqua dell'India scorrerà per il beneficio dell'India, sarà conservata per il beneficio dell'India e sarà usata per il progresso dell'India» ha comunicato Modi. La gestione delle risorse idriche è uno dei temi più caldi nella regione contesa del Kashmir, che oltre a India e Pakistan coinvolge anche la Cina, confinante con entrambi ed alleata di Islamabad.

Le tensioni tra i due paesi affondano le radici nella divisione territoriale operata con il disgregamento dell’India coloniale nell’agosto 1947, che venne divisa tra il dominion dell’India e il dominion del Pakistan. Questo raccolse le popolazioni a maggioranza musulmana dell’India del nord, mentre l’India attrasse le popolazioni induiste e sikh, questo movimento di grandi masse di popolazione, stimate intorno agli 11 milioni di persone, degenerò in una serie di conflitti etnici e religiosi che provocarono un milione di vittime.

Pochi mesi dopo aver ottenuto l’indipendenza, ad ottobre del '47, i due paesi si scontrarono nella loro prima guerra per il controllo del Kashmir, che durò un anno e quaranta giorni. In questo caso fu il Pakistan che attaccò l’India per assicurarsi il controllo totale sulla regione. Il conflitto si concluse con un accordo di cessate il fuoco, mediato dalle Nazioni Unite, il 31 dicembre 1948. Nel 1965 il Pakistan provò nuovamente a prendere controllo dell’area lanciando l’operazione Gibilterra, consistente nell’infiltrazione di forze speciali nel Jammu e nel Kashmir, al fine di destabilizzare la regione e fomentare rivolte.

L’India attaccò direttamente il Pakistan, il conflitto che ne scaturì durò cinque settimane e fu risolto nuovamente da un cessate il fuoco mediato dall’Onu. I due paesi si scontrarono di nuovo nel 1971, stavolta il casus belli non fu il Kashmir ma i movimenti indipendentisti del Pakistan orientale, poi divenuto Bangladesh. L’India intervenne a fianco dei ribelli bengalesi facilitandone il processo di secessione e portando le forze pakistane ad una rapida resa. Venti di guerra tornarono a soffiare nel 1984, quando le forze indiane occuparono il ghiacciaio Siachen, sul confine settentrionale del Kashmir. Il Pakistan provò in diverse occasioni a respingere gli indiani, senza avere successo.

L’ultimo scontro avvenuto tra i due paesi è stato nel 1999, alcuni reparti dell’esercito pakistano occuparono il distretto indiano di Kargil, L’India rispose con inaspettata forza e costrinse il Pakistan a ritirare le sue truppe. Nel 2001 venne siglato un accordo di cessate il fuoco, periodicamente rinnovato, l’ultima volta nel 2021, che però è stato violato in più occasioni in passato, come nel 2016, nel 2019, e ora nel 2025 a testimoniare la difficoltà delle relazioni tra i due paesi e l’instabilità della regione.