Anche i giganti possono trovare soggetti più forti di loro.

Questa considerazione si adatta perfettamente alla sequenza di sanzioni che sta ricevendo Apple nelle ultime settimane, che con il valore di 171$ per ciascuna sua azione (alla data del 22 marzo), è la seconda società con maggiore capitalizzazione nel mondo, valendo la stratosferica cifra di 2.650 miliardi di dollari (dietro a Microsoft, che vale 3.190 mld, e prima di Amazon, prezzata a 1.850 mld).

Dopo che la Commissione europea aveva comminato ad Apple una multa di 1,8 miliardi di euro il 4 marzo scorso, per abuso di posizione dominante nel mercato della distribuzione via streaming della musica, tramite l’impostazione del suo App store, che impediva ad altri operatori di offrire lo stesso servizio in modo alternativo e più economico, il 20 marzo è intervenuto il US Justice Department, ossia il Ministero della Giustizia degli Stati Uniti, che ha accusato Apple di aver violato la normativa antitrust.

In questo caso l’accusa riguarda l’ostacolo ad altri operatori concorrenti nel settore dei servizi offerti su smartphone, che hanno bisogno di conoscere le caratteristiche hardware e software del device progettato a Cupertino (California, sede della Apple), per poter proporre i loro servizi agli utenti che possiedono un prodotto Apple (principalmente telefonino e tablet).

A questo scopo si terrà nella Federal Court del New Jersey un processo contro Apple, che avrà come oggetto l’analisi del comportamento dell’azienda creata da Jobs, per verificare le ipotesi di comportamento illegale, che tende ad escludere competitors dal ricco mercato dei servizi digitali (“unlawful exclusionary behaviour”).

Va detto che non si tratta di una mossa a sorpresa, poiché l’Amministrazione Biden, anche se in sottotraccia, ha avviato fin dall’inizio una politica di contrasto ai giganti del high tech, per cui in passato sotto le maglie della giustizia americana erano finite altre grandi corporations, come Google (accusato di monopolio), Meta (proprietaria di Facebook), e Amazon.

Per Apple è la 3^ volta negli ultimi 14 anni che è chiamata a rendere conto alla giustizia statunitense per il suo operato commerciale.

In questo caso l’accusa riguarda la “digital fortress” creata da Apple intorno a iPhone, iPad, Mac, Apple Watch, definita anche “walled garden”.

Apple ha già fatto sapere, in risposta alle notizie di stampa che annunciavano la decisione del Ministero della Giustizia di Washington, che tale “giardino protetto” è finalizzato a facilitare la vita agli utenti (forse non facendogli perdere tempo nella scelta della App?), oltre che a garantire la riservatezza dei loro dati, che potrebbe essere messa a rischio scaricando altri software.

Insomma, per i vertici di Apple la chiusura a operatori concorrenti nel mercato dei servizi digitali è una caratteristica nota degli iPhone, che la distingue dai prodotti della concorrenza, che invece consentono l’utilizzo di App diverse da quelle proposte dal produttore.

Le autorità americane hanno già anticipato che queste motivazioni non tengono, visto che l’effetto è far pagare di più ai propri clienti, che intendono avvalersi di servizi, i quali avrebbero potuto ottenerli a costi minori (o senza costi) da altri fornitori, possibilità che costituisce la finalità della normativa sulla concorrenza.

A proposito di quest’ultima va detto che essa fu concepita alla fine del 800 negli Usa, quando fu emanato lo Sherman Anti-trust Act (1890).

Da allora la disciplina della concorrenza ha fatto passi da gigante, essendo sempre più evidente il suo ruolo per il corretto funzionamento di un’economia di mercato.

Le regole sulla concorrenza hanno, in realtà, ulteriori motivazioni, che vanno dalla difesa della parte debole nei contratti (quindi il cliente degli operatori economici, ma anche il lavoratore nei confronti del datore di lavoro), allo stimolo dell’emersione delle migliori aziende, circostanza resa possibile dalla libertà di accesso ai mercati (che non devono quindi basarsi su oligopoli, e tanto meno su monopoli), e dal rispetto di regole uguali per tutti (sicurezza, fisco, lavoro, ambiente).

Alle nostre latitudini la disciplina della concorrenza è stata una delle più importanti conseguenze dell’appartenenza dell’Italia, prima nella Cee, poi nell’Ue.

Vale la pena ricordare che la normativa della concorrenza ha da noi valore costituzionale, essendo prevista dal Trattato sul Funzionamento dell’Ue (che è parificato alla nostra Costituzione), e precisamente dagli articoli 101 (Divieto di accordi restrittivi della concorrenza), e 102 (Sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato). Vi è poi una normativa comunitaria che è andata sviluppandosi, tra cui il Regolamento Ce 139/2004, che prevede una procedura di controllo delle concentrazioni, ossia delle fusioni aziendali, che, tra l’altro, è quella che ha pesato sulla vicenda Alitalia-Ita.

Insomma, se oggi possiamo restituire un prodotto difettoso ed ottenere un rimborso, o disporre di una garanzia di 2 anni, o più in generale far rispettare i propri diritti, tutto questo è merito della legislazione sulla concorrenza.