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C’è un filo rosso che collega il gerarca nazista Adolf Eichmann al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah e lungo cui corre tutta la feroce determinazione di Israele nel colpire i propri nemici. Dalla caccia ai reduci del Terzo Reich, responsabili del genocidio degli ebrei d’Europa, alla strategia degli “omicidi mirati” contro i leader e guerriglieri arabi cambia il contesto storico e la natura dell’obiettivo ma non cambia la sostanza.
Chiunque finisca nel database di The Bank, la lista nera dei “giustiziabili” prima o poi sarà oggetto della rappresaglia dello Stato ebraico. Per eliminare la spina nel fianco Nasrallah ci hanno messo ben trentadue anni, tanto da alimentare la leggenda della sua intangibilità, ma alla fine anche la carismatica guida delle milizie sciite libanesi è stata raggiunta dalla vendetta israeliana. L’eliminazione del nemico è quasi una scienza esatta, fatta di tenacia e pazienza: colpire dove e quando nessuno se lo aspetta, con metodi sofisticati e impensabili come è stata la recente esplosione simultanea dei cercapersone dei membri di Hezbollah. Oppure in modo più convenzionale, individuando il bersaglio tramite una soffiata e bombardandolo.
Dopo i massacri del 7 ottobre questa strategia ha subito una brusca accelerazione, accumulando cadaveri eccellenti: oltre alla primula rossa Nasrallah, poche settimane prima era toccato al suo comandante militare Fuad Shukr e il 31 luglio leader politico di Hamas Ismail Hanyeh fatto fuori da un missile a Teheran. L’impressione è che si voglia arrivare a una resa dei conti finale con il “nemico dei nemici”, l’Iran degli ayatollah e alla sua guida suprema Alì Khamenei.
Da oltre mezzo secolo gli apparati di sicurezza e intelligence di Tel Aviv conducono una guerra parallela spesso segreta contro i loro storici avversari: prima l’Olp di Arafat e il Fplp di George Habash, poi negli ultimi decenni i membri del Jihad islamico e infine di Hamas, sono decine i dirigenti politici e militari delle organizzazioni armate palestinesi e non uccisi dagli agenti del Mossad e dello Shin Bet. Sono oltre duemila le persone eliminate da Israele nel corso dei decenni tra dirigenti e semplici militanti
Tutto inizia nel 1972 ai Giochi olimpici di Monaco in Germania con il massacro di 11 atleti israeliani da parte di Settembre nero, un’organizzazione terroristica di fedayn palestinesi. L’attentato provoca un’ondata di choc in Israele che reagisce bombardando alcune basi dell’Olp in Siria e Libano, ma il vero “salto di qualità” viene annunciato dalla premier Golda Meir in un celebre discorso alla Knesset: «Ovunque si stia preparando un complotto, in qualsiasi luogo in cui si preparano le persone a uccidere ebrei, israeliani – ed ebrei – è là che ci impegniamo a colpirli». In altre parole ci si riserva il diritto di colpire in ogni parte del mondo chiunque cospiri per assassinare ebrei.
Fino ad allora era una pratica limitata a operazioni di spionaggio in paesi comunque ostili allo Stato ebraico, dalla strage di Monaco gli 007 di Tel Aviv saranno autorizzati a compiere omicidi mirati anche nelle democrazie occidentali, questione di sicurezza ma anche di vendetta, talvolta scomposta e feroce, nell’idea di far provare alle vittime «lo stesso terrore» che hanno causato. Come accadde ad Abu Yusuf, tra i comandanti di Settembre nero, crivellato di colpi assieme alla moglie nel 1973 a Beirut mentre riposava nel suo letto. Qualche mese prima a Roma fu ucciso con un colpo di pistola Wael Zuaiter, rappresentante dell’Olp in Italia sospettato di aver dato aiuto a Settembre nero. Poi toccò a Mahmmud Hashiri, coordinatore del commando di Monaco, eliminato con una carica esplosiva piazzata sotto il suo apparecchio telefonico.
Per far fuori la “mente” di Settembre nero, Abu jihad, il Mossad ci ha messo più di 15 anni: l’uomo, che nel frattempo era diventato il numero due di Arafat, viene assassinato nel suo appartamento di Tunisi davanti la moglie e due figli piccoli nell’aprile 1988. Sul suo cadavere oltre cento proiettili, esplosi da tutti i membri del commando israeliano. Con la fondazione di Hamas nel 1987 e la decisione dell’Olp e Fatah di abbandonare gli attentati terroristi per provare a entrare nel processo di pace, gli obiettivi di Israele slittano verso i leader del movimento islamista che persegue per statuto la distruzione dello Stato ebraico.
Due, sono le operazioni i “eccellenti” tra le decine di omicidi di dirigenti di Hamas. Lo sceicco cieco e paralitico Ahmed Yassin, ijntransigente fondatore del movimento, sfuggito a diversi attentati e polverizzato da un missile il 22 marzo 2004 mentre usciva da una moschea di Gaza. Meno di un mesew dopo, il 17 aprile, tocca al successore di Yassin, Abd al-Aziz al-Rantissi: la sua auto è colpita da un razzo mentre stava viaggiando all’interno della Sriscia.