L'America trafitta dell'11 settembre è una potenza inespugnabile che all'improvviso si ritrova l'apocalisse in casa. E tutto precipita in un furente domino di guerra. Assieme alle Torri gemelle e alle tremila vittime dell'attentato terroristico più cruento della Storia, crolla anche l'immagine che gli Usa hanno coltivato di se stessi. Ma soprattutto quella che per decenni hanno proiettato all'intero pianeta. Colpiti al cuore da un miliardario saudita che per noia e fanatismo si reinventa sceicco del terrore. La rappresaglia sarà cieca e violentissima e provocherà centinaia di migliaia di vittime. Molti avversari sono spazzati via, ma non è una vittoria e nemmeno una missione compiuta; i conflitti e l'instabilità che oggi scuotono i teatri della missione enduring freedom sono figli di quel domino. Il declino dell'impero inizia, inesorabile, proprio in quel momento.A quindici anni di distanza il peso geopolitico ed economico dell'America è imparagonabile a quello che aveva all'inizio del millennio, in ritirata dagli scenari strategici del Medio Oriente, spaesata dall'insorgenza dello Stato Islamico (Isis), spettatrice dello scontro fratricida inter-islamico fra Teheran e Riyad, assente nei negoziati impossibili tra israeliani e palestinesi, messa a margine dallo scoppio delle "primabere arabe" umiliata dalla diplomazia muscolare di Vladimir Putin in Crimea e Siria. Ma anche epicentro della crisi finanziaria del 2008 che trascina il mondo nelle sabbie mobili della recessione e la nazione sul bilico del default. Una nazione che deve confrontarasi con le nuove potenze emergenti come Cina e India e che non può più rivendicare il ruolo di gendarme globale. La presidenza Obama, impegnata nel ritiro delle truppe dalll'Iraq e nella battaglia per i diritti in patria, non ha fatto altro che accompagnare il Paese in questa fase di crepuscolo. In questo Obama è stato un grande presidente, ha capito il nuovo spazio e il nuovo perimetro d'azione degli Usa in un mondo multipolare e senza più imperatori in cui bisogna archiviare le antiche distinzioni imperiali, dall'embrago cubano alla guerra a bassa intesnità con l'Iran degli ayatollah alla contrapposizione con l'Islam. E quel mondo multipolare inizia a profilarsi paradossalmente proprio dalle macerie del World Trade Center, quando gli Usa da animali feriti lanciano l'offensiva contro i "barbari", credendo di vincere e veneendo travolti dalla Storia.Lo storico Alessandro Barbero individua anche lui una data per segnare l'inizio del declino di Roma, un passaggio che precede di quasi un secolo il 476 d. c. che nei manuali è indicato convenzionalmente come la fine dell'impero d'Occidente. Si tratta del 9 agosto 378, giorno della battaglia di Adrianopoli che avvenne in Tracia (l'attuale Turchia europea). I Goti popolazione di profughi in fuga guidata dal gagliardo Fritigerno polverizzano l'addestrato esercito dell'imperatore Valente, Adrianopoli è la Waterloo di Roma, un gigante dai piedi d'argilla: «Quella sconfitta segnò addirittura la fine dell'Antichità e l'inizio del Medioevo, perché mise in moto la catena di eventi che più di un secolo dopo avrebbe portato alla caduta dell'impero romano d'Occidente».E pensare che molti storici e analisti vedono al contrario nell'11 settembre il punto di partenza di un ciclo "neoimperiale" degli Stati Uniti. La presidenza di George W. Bush, fino a quel momento avvolta in una specie penombra soporifera reagisce con spirito belluino all'attacco jihadista e organizza una caccia senza quartiere ai suoi nemici. Che in teoria sarebbero Osama Bin-Laden e la sua al-Qaeda, fantasmi nel deserto inseguiti per oltre un decennio rovesciando regimi e bombardando città. È la stagione della "guerra infinita", della "lotta al terrore", ma anche di Guantanamo e del "Patrioct act", protagonismo militare all'esterno, attacco ai diritti civili all'interno. I consiglieri del principe, un'agguerrita accolita di strateghi, politici e intellettuali che si fanno chiamare"neo con" sospingono lo stralunato Bush nell'avventura militare più imponente dai tempi del Vietnam, attivando le suggestioni ideologiche dello "scontro di civiltà". La libertà dell'Occidente contro l'oscurantismo del mondo arabo-musulmano e il suo "medioevo" religioso, con l'idea prometeica che la democrazia sia un bene da esportare e trapiantare, anche a suon di bombe e colpi di Stato.La guerra lampo contro l'Afghanistan del mullah Omar, quella molto più logorante contro il regime baahtista di Saddam Hussein, le migliaia di attentati contro i civili, la rinascita dei conflitti settari tra sciiti e sunniti, tutti elementi capaci di innescare una spirale di violenze che alimenta il jihadismo globale e le sue organizzazioni in costante mutazione. L'ultima, l'Isis del sedicente Califfo che nasce dalle macerie di al-Qaeda in Iraq, è l'ennesima nemesi per i declinanti Stati Uniti. Riacciuffati proprio mentre stavano abbandonando il campo di battaglia. Il parziale dietrofront di Obama nella guerra all'Isis non cambia la sostanza: anche in questo caso l'America non è più in prima linea dello scontro, ma una giusto una comprimaria di lusso.